Periodicamente tornano le polemiche sulle opere d’arte finite all’estero: se ne invoca il ritorno a casa, si chiamano “ladri” gli altri Paesi colpevoli di averle portate via, si promettono nuove strutture museali nei loro luoghi d’origine per accoglierle degnamente. Gli animi si accedono: si parla di “simboli dell’identità nazionale”, di “necessità di tutelare la nostra memoria”.
Tutto questo, di solito, a sproposito, senza una conoscenza nemmeno minima delle vicende storiche che portarono un oggetto lontano dal luogo nel quale e per il quale fu creato.
Poi la polemica si spegne. Le opere d’arte restano a brillare nei musei o a dormire nei magazzini, dimenticate dall’opinione pubblica. Fino alla prossima volta.
Questa problematica non è solo italiana, ma investe Paesi anche molto diversi e lontani tra loro, come Francia, Giappone e Australia. In Francia il Presidente Macron ha annunciato di voler restituire gli oggetti provenienti dall’Africa che oggi adornano i musei della République: un tentativo chiaramente demagogico di chiedere scusa per la colonizzazione; il Giappone sta ricomprando tutti gli oggetti finiti in mano ai collezionisti europei, in particolare le katane, le celeberrime spade dei Samurai; l’Australia, restituendo agli Aborigeni non solo oggetti, ma anche luoghi come il famoso Ayers Rock (Uluru in lingua aborigena), fa un altro passo nel processo di riconciliazione – che resta comunque lungi dall’essere compiuto – con la popolazione indigena.
Per quanto riguarda l’Italia partiamo, e non potrebbe essere altrimenti, dalla Gioconda. Le celebrazioni per i 500 anni di Leonardo hanno ovviamente portato i soliti urlatori da social a reclamare il ritorno della Monna Lisa. E rispunta anche la storia del suo clamoroso furto, compiuto nel 1911 da un italiano, dipendente del Louvre, che dopo averla tenuta sotto il letto tornò in Italia e tentò maldestramente di venderla ad un antiquario, venendo subito denunciato. Peccato che basti aprire Wikipedia per accorgersi che Leonardo portò lui stesso la Gioconda in Francia e la vendette al re Francesco I, suo ultimo mecenate, alla cui corte visse i suoi ultimi anni.
I Francesi ci rubarono effettivamente delle opere d’arte, ma 300 anni dopo. NAPOLEONE sguinzagliò suoi agenti ed esperti in tutta Italia, arraffando per ogni dove quadri e statue per abbellire il Louvre e gli altri musei francesi. Dopo la sua caduta, fortunatamente, venne inviato in Francia per recuperarle uno dei nostri più grandi artisti: ANTONIO CANOVA. A lui si deve, ad esempio, il ritorno ai Musei Vaticani del famoso Laocoonte, il gruppo scultoreo che raffigura il sacerdote di Troia perito insieme ai figli strangolato da due serpenti perché aveva intuito l’inganno del Cavallo. Canova riuscì a riportare in Italia quasi tutte le opere d’arte sistemate al Louvre e in altri musei di Parigi, mentre fu impossibile rintracciare quelle finite in musei di provincia.
Se non ci fosse stato Canova, oggi avremmo ragione a richiedere la restituzione di quelle opere, frutto di una rapina operata da un conquistatore straniero. Per lo stesso motivo è stato giusto restituire ai legittimi proprietari – non solo musei ma anche privati – le opere rubate dai Nazisti durante la Seconda Guerra Mondiale: a questo, e a scongiurarne la distruzione, si dedicò la task force internazionale nota come i Monuments Men, oggi famosa grazie al film con George Clooney.
Sempre per quanto riguarda l’Italia, è più che doveroso ricordare l’ormai quarantennale operato, sconosciuto ai più, dei Carabinieri per la Tutela del Patrimonio Culturale, una delle eccellenze delle nostre Forze dell’Ordine. Fondato nel 1969, questo Corpo ha al suo attivo centinaia di operazioni di successo, che hanno riportato in Italia opere d’arte di tutte le epoche, dall’antica Grecia al Novecento. Trafugate da tombaroli e criminali di varia natura, erano spesso finite in famosi musei degli Stati Uniti, i quali evidentemente non si sono preoccupati di verificarne la lecita provenienza: figuracce che macchiano, e in modo grave, la credibilità di queste istituzioni culturali.
Purtroppo non tutte le opere d’arte indebitamente sottratte all’Italia nel corso dei secoli sono potute rientrare nel nostro Paese. Indebitamente, ripetiamo, perché molte altre furono vendute dagli stessi proprietari italiani ad acquirenti esteri, che ne entrarono in possesso in maniera del tutto legittima. Alle opere rubate e mai più ritornate in Italia è stato dedicato addirittura un intero museo: chiamato, significativamente, Museo dell’Arte in Ostaggio (o MAIO, secondo l’uso degli acronimi oggi di moda anche per i musei), si trova vicino a Milano, è nato per iniziativa del giornalista Salvatore Giannella, autore del fortunato libro Operazione Salvataggio. Gli eroi sconosciuti che hanno salvato l’arte dalle guerre, ed è stato inaugurato nel 2015.
Ma anche l’Italia si comportò da predatrice. Fu negli Anni Trenta, durante l’occupazione dell’Etiopia, quando il nostro Paese si illuse di poter avere anche lui un impero coloniale. Nel 1937 il governo fascista trafugò dalla città di Aksum, che fu capitale del Regno d’Etiopia all’inizio del Medioevo, un grande obelisco istoriato, che venne trasferito a Roma e innalzato nella Piazza di Porta Capena, di fronte alla sede del Ministero delle Colonie. Nel suo luogo d’origine l’obelisco era a terra, spezzato in varie parti: tra l’altro, nel trasporto a Roma, ne venne dimenticato là un pezzo, che dovette essere ricostruito. Dopo la caduta del Fascismo e la fine della Seconda Guerra Mondiale i primi governi dell’Italia repubblicana si dichiararono disponibili alla restituzione, ma le trattative con l’Etiopia – che nel frattempo aveva a sua volta abolito la monarchia e proclamato la repubblica – si prolungarono e non se ne fece niente. Solo all’inizio degli Anni Duemila cominciò un dibattito, che si trascinò a lungo e vide coinvolti legislatori, giuristi, storici ed esponenti del mondo culturale, tra i quali citiamo almeno il sempreverde Vittorio Sgarbi. Infine l’obelisco venne riconsegnato all’Etiopia e riportato nella sua sede originaria: ma rimase smontato a terra ancora per qualche anno prima di venire nuovamente innalzato.
Quello della restituzione delle opere d’arte è dunque un tema complesso, che non può essere liquidato con soluzioni facili e semplicistiche. Come si è visto, entrano in gioco molti fattori, e sembra difficile trovare una risposta e una regola valide per ogni singolo caso.
FONTI:
Maurizio Assalto, “Africa, l’arte a casa loro”, da La Stampa del 16 Settembre 2018
Giuseppe M. Della Fina, “Monsieur L’Emballeur : Canova in difesa dell’arte”, da Archeo n. 411 (Maggio 2019), pp. 100 – 101
Salvatore Giannella, Operazione Salvataggio. Gli eroi sconosciuti che hanno salvato l’arte dalle guerre, Chiarelettere 2014
Giuseppe C. Infranca, “Stele di Aksum, la restituiamo sì o no ?”, da Archeologia Viva n. 91 (Gennaio-Febbraio 2002), pp. 48 – 55
Fabio Isman, L’ Italia dell’ arte venduta. Collezioni disperse, capolavori fuggiti, Il Mulino 2017
Simona Maggiorelli, “Nasce il museo dell’arte in ostaggio”, da LEFT del 10 Ottobre 2015, pp. 70 – 72
Alessandro Marzo Magno, Missione Grande Bellezza. Gli eroi e le eroine che salvarono i capolavori italiani saccheggiati da Napoleone e da Hitler, Garzanti 2017
Roberto Riccardi, Detective dell’ arte. Dai Monuments Men ai Carabinieri della Cultura, Rizzoli 2019
http://www.treccani.it/enciclopedia/arte-contesa_(Il-Libro-dell’Anno)/
http://tpcweb.carabinieri.it/SitoPubblico/bollettini
2 commenti su “Restituire le opere d’arte”
L’Italia è unica come le sue opere…purtroppo altrove.
Sarebbe giusto che queste ritornassero a casa.
Se hai piacere di approfondire l’argomento, oltre ai testi indicati nelle Fonti ti segnalo anche questo libro:
Luca Nannipieri, Capolavori rubati, SKIRA Editore
Tratta di veri e propri furti, compiuti da criminali (ma generalmente su commissione), che hanno privato molti musei delle opere d’arte da loro legittimamente possedute per andare ad arricchire le collezioni private di qualcuno.
Il vero problema di una qualsiasi opera d’arte – dai vasi greci alle statue romane, dagli idoli africani alle stampe giapponesi – è che finiscono quasi sempre fuori contesto. Stabilirne la provenienza è molto difficile, ma essenziale per capire quando, come, perché e per chi/cosa furono realizzate.
Se non si fa questo, e se non si informa il pubblico di tutto quello che si sa, sono solo begli oggetti da esporre sotto vetro. Un po’ come gli animali selvatici nei brutti zoo di una volta.