OTZI, L’UOMO DEI GHIACCIAI

Chiamatemi Otzi. Il mio vero nome non lo sapreste neanche pronunciare. Sembro un uomo primitivo, ma non lo sono. No, non ho mai vissuto nelle caverne. Per la verità neanche i miei, e vostri, antenati lo hanno mai fatto. E non ho mai incontrato i mammut e le tigri dai denti a sciabola. Quegli enormi animali si sono estinti migliaia di anni prima che io nascessi.

 

“Cosa ci facevi sul ghiacciaio?”

“Dove stavi andando?”

“Come sei morto?”

 

Quante domande! Proverò a rispondere, se avrete un po’ di pazienza.

 

Prima di tutto vi descriverò il mio aspetto. Avevo circa 45 anni, un’età ragguardevole per la mia epoca, ero alto un metro e sessanta e pesavo all’incirca sessanta chili. Avevo la pelle bianca, gli occhi castani, i capelli scuri, che tenevo abbastanza lunghi, e portavo la barba.

 

Non essendo più tanto giovane ero anche pieno di acciacchi. Avevo molti denti cariati, e allora di dentisti non ce n’erano! Ero tormentato dall’artrosi alla schiena e ai fianchi e mi faceva male un ginocchio: non potevo saperlo, ma avevo un problema al menisco.

 

Per curarmi mi ero fatto fare dei tatuaggi. Sì, proprio così. Incisioni sulla pelle in corrispondenza dei punti che mi facevano male. Niente di elaborato, intendiamoci. Si trattava di una pratica medica simile alla moderna agopuntura, ma non so dirvi se mi abbia giovato. Sono morto prima, e per tutt’altre cause, come vi racconterò tra poco.

 

Come dicevo, non sono un uomo delle caverne. Anzi, vivevo in un villaggio. Dove fosse esattamente non lo saprei dire: probabilmente in quella che oggi è la Val d’Isarco, nel territorio che alcuni di voi chiamano Alto Adige e altri Sud Tirolo. Che strana questa vostra usanza di dare due nomi diversi allo stesso posto. Ai miei tempi era tutto più semplice.

 

Già, i miei tempi. Sono vissuto in quella che voi oggi chiamate l’Età del Rame, ben 5.200 anni fa! Allora qui c’erano solo foreste, boschi e montagne. Oh, e animali, naturalmente. Tanti animali. Noi esseri umani eravamo pochi, e quello che cacciavamo ci bastava per sfamare noi e le nostre famiglie. A me piaceva in particolare la carne di stambecco: me ne sono portata dietro un po’ da mangiare durante il viaggio.

 

Degli animali usavamo tutto, soprattutto le pelli. Erano morbide e calde, fondamentali per superare gli inverni. Che freddo faceva! Molto più di oggi, ve lo assicuro.

I nostri vestiti erano comodi e pratici. Quando sono partito sapevo di dover affrontare un lungo viaggio, e ho preso con me il meglio della mia attrezzatura.

 

In testa un berretto di pelo, sulla schiena una sacca con dentro il necessario per accendere il fuoco, in spalla un arco e una faretra con due frecce già pronte e altre da finire, ai fianchi un coltello di selce e un’ascia con la lama in rame. A proposito, il metallo con cui è fatta l’ascia viene da una terra molto più a sud, quella che voi chiamate Toscana: sapevamo già commerciare e scambiarci oggetti di prestigio. E il fatto che ce l’avessi io vi fa capire che ero una persona importante.

 

Forse troppo importante. Forse ho suscitato l’invidia di qualcuno, qualcuno che non vedeva l’ora di sbarazzarsi di me. Qualcuno che non ha aspettato che morissi per i miei malanni o congelato sul ghiacciaio.

 

Ormai, dopo tutti i test che avete fatto sulla mia mummia, l’avete capito.

 

Mi hanno ammazzato.

 

Prima sono stato ferito. Un taglio sulla mano, così profondo da arrivare all’osso.

Il giorno dopo, mentre arrancavo su per la montagna, sono stato colpito alle spalle da una freccia. La punta mi è rimasta conficcata nella carne, provocandomi un’emorragia interna.

Infine mi hanno dato una botta in testa, così, tanto per essere sicuri.

 

Ecco come sono morto.

 

La neve ha piano piano coperto il mio corpo. Sono caduto in una conca tra le rocce e sono rimasto lì, protetto dai movimenti del ghiacciaio che, altrimenti, mi avrebbero trascinato a valle e disperso i miei resti e tutta la mia attrezzatura.

 

Sono passati oltre cinquemila anni.

 

Verso la fine del secolo scorso un’enorme nuvola di sabbia proveniente dal Sahara deposita il suo carico sulle Alpi. Il ghiaccio inizia a sciogliersi, e il mio corpo torna lentamente alla luce.

 

A ritrovarmi è stata una coppia di turisti tedeschi che stava facendo un’escursione in montagna. Da allora è iniziato un carosello di ipotesi, esami clinici e persino dispute di confine: volevate stabilire a chi appartenevo, se all’Italia o all’Austria. Alla fine ha vinto l’Italia, per pochi metri di suolo.

 

Oggi abito a Bolzano, nel Museo Archeologico dell’Alto Adige. Qui potete vedere esposti tutti gli oggetti che avevo con me e anche la mia mummia, conservata in una sala speciale a temperatura e umidità controllata. Non sono un bello spettacolo, vi avviso: se avete dei bambini con voi, badate che non si spaventino!

 

Venitemi a trovare, vi aspetto!

 

Vostro,

 

Otzi.

 

 

 

(ricostruzione dell’aspetto di Otzi – foto di Stefano Tartaglino – © Museo Archeologico dell’Alto Adige)

 

 

FONTI:

 

Museo Archeologico dell’Alto Adige, da me visitato nell’estate 2022.

Bolzano, via Museo 43

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