“La nostra specie si è evoluta secondo una linea dritta di progresso” – FALSO!
Tutti ricordiamo la successione studiata a scuola relativa all’evoluzione della specie umana:
- Australopiteco, il primo a camminare eretto (la famosa Lucy)
- Homo Habilis, il primo a usare utensili
- Homo Erectus, il primo a usare il fuoco
- Uomo di Neanderthal, brutto e stupido che abitava nelle caverne dell’Era Glaciale
- Homo Sapiens Sapiens, l’essere umano moderno
Facile, no ? Ma è (anche, ancora) vero ?
No. Non più. Non solo.
La visione classica dell’evoluzione umana è quella di un albero, di un tronco diritto che, a parte qualche piccolo ramo presto seccatosi (alcune specie di Australopiteco e l’Uomo di Neanderthal), conduce con una marcia trionfale – sottolineata dall’aumento di dimensioni del cervello – dai primi ominidi a noi, esseri umani moderni.
E sappiamo anche – o meglio, crediamo di sapere – che la nostra specie si è evoluta in Africa, nella famosa Rift Valley, un lungo e profondo canyon che taglia come uno squarcio la parte orientale del Continente Nero. Questo è quello che ci hanno insegnato.
Ma consideriamo un momento da dove ci vengono queste informazioni.
La risposta è, qui sì, molto semplice: dai fossili. Come per i dinosauri, anche per la ricostruzione dei nostri lontanissimi progenitori ci dobbiamo affidare ai fossili.
Ma che cos’è un fossile? È un organismo vivente (animale o vegetale) che una volta morto diventa pietra. Perché questo accada sono necessarie condizioni molto particolari:
- l’organismo, appena morto, deve essere subito ricoperto o nascosto da qualcosa, affinché i suoi resti non siano dispersi dagli animali spazzini e non subiscano l’azione degli agenti atmosferici
- deve trovarsi in un terreno le cui caratteristiche chimiche permettano la trasformazione in pietra delle sue parti dure (le uniche che rimangono dopo la decomposizione)
Come è facile immaginare, è molto raro che queste condizioni si verifichino contemporaneamente. I fossili che conosciamo sono infatti pochissimi, infinitesimali rispetto all’enorme numero di organismi vissuti nel corso della storia della Terra (dai primi pesci alle piante, dai dinosauri agli ominidi).
Per avere un’idea, facciamo il seguente esempio. Immaginiamo che tra un milione di anni non esista più alcuna stesura completa, né cartacea né digitale, della Divina Commedia. Uno studioso del futuro ritrova, su un supporto vecchissimo e molto rovinato, che in qualche modo riesce a decifrare, alcuni versi:
Nel mezzo del cammin di nostra vita (l’inizio, ma lui non lo sa)
lasciate ogni speranza voi che entrate (l’ultimo verso dell’iscrizione sulla Porta dell’Inferno)
galeotto fu il libro e chi lo scrisse (tratto dall’episodio di Paolo e Francesca)
l’amor che muove il sole e le altre stelle (l’ultimissimo verso del Paradiso)
Come potrebbe, il nostro studioso del lontano futuro, avere un’idea chiara e precisa di cosa è stata la Divina Commedia avendo a disposizione solo ed unicamente questi quattro versi ?
Forse penserebbe ad una breve poesiola, una filastrocca, una ninna-nanna. Forse li interpreterebbe come aforismi di un saggio filosofo da lungo tempo dimenticato. Forse crederebbe che siano tratti da un testo giuridico, magari una sentenza emessa da qualche tribunale che poi è diventata legge.
Noi, di fronte ai fossili, siamo esattamente nelle stesse condizioni di questo studioso. Avremmo bisogno di molti più dati, per evitare di prendere gigantesche cantonate.
Per quanto riguarda l’evoluzione dell’uomo oggi abbiamo capito, nonostante le limitazioni di cui sopra, che la storia delle nostre origini è molto più complessa.
Fino a qualche decennio fa le ricerche sui nostri progenitori erano limitate all’Africa, da sempre considerata come “la culla dell’umanità”. E si pensava che ogni antico ominide – quelli della successione classica che abbiamo richiamato all’inizio – fosse vissuto per un certo periodo per poi estinguersi e lasciare il posto ad un altro.
In pratica si riteneva che, in un determinato periodo, sulla Terra fosse presente una e una sola specie umana.
Poi sono iniziati a venire alla luce altri fossili in altre parti del mondo, anche fuori dall’Africa: in Cina, nel Sud Est Asiatico, in India. Ominidi che in Africa, dopo un certo periodo, erano considerati estinti risultavano invece ancora ben vivi in altre parti del mondo.
E negli strati più recenti, dove ci si aspettava di trovare scheletri di ominidi ormai moderni, identici a noi, ne venivano invece fuori altri con caratteristiche mischiate, in parte moderne e in parte ancora molto arcaiche e “scimmiesche”.
Si è quindi capito che l’immagine dell’albero, con il suo bel tronco diritto, non andava più bene per descrivere l’evoluzione della specie umana.
Oggi tutti gli studiosi concordano sul fatto che bisogna piuttosto pensare ad un cespuglio, ad un arbusto con molte ramificazioni, anche contemporanee.
In altre parole, è verosimile che sulla Terra abbiano coabitato, nello stesso arco di tempo e a volte anche negli stessi luoghi, diverse specie di ominidi: alcune arcaiche, altre in parte arcaiche e in parte moderne, altre interamente moderne.
Ogni nuovo ominide che viene riconosciuto come specie a sé stante (e che nel nome scientifico si merita l’appellativo di Homo) viene salutato, nell’opinione comune, come “l’anello mancante tra le scimmie e l’uomo”.
Questa è una semplificazione che va bene per i giornali, per le tv, per i titoli sensazionali. Ma è un’espressione che agli studiosi non piace.
Cercare “l’anello mancante” è inutile e fuorviante.
Farlo significa solo, ancora e ancora, voler trovare a tutti i costi le prove di una eccezionalità della nostra specie, di un “destino manifesto” di intelligenza e di perfezione.
Questa è la madre di tutte le fake news.
Dall’immagine del cespuglio invece si evince che la nostra specie era solo una tra tante.
Siamo sopravvissuti, ma avremmo potuto estinguerci: e almeno in un caso abbiamo rischiato sul serio, già ai tempi della preistoria.
Al nostro posto potrebbe esserci un’altra delle tante specie umane che hanno calcato la Terra, simile a noi nell’aspetto generale ma per il resto assai diversa.
Se siamo qui, lo dobbiamo alla nostra capacità di adattamento.
Le altre specie sono scomparse da sole, per cause naturali: non le abbiamo eliminate noi, non coscientemente almeno (un tempo si pensava ad una sorta di “genocidio” compiuto dall’Homo Sapiens Sapiens, ovvero noi, ai danni dell’Uomo di Neanderthal). La guerra – intesa come distruzione programmata di un gruppo rivale – è venuta molto dopo.
Quindi nessun cammino trionfale, nessun “Disegno Intelligente”, nessun progresso inarrestabile.
Solo un gran colpo di fortuna.
Nota di metodo
Come abbiamo visto, gli studi sull’evoluzione umana sono essi stessi in continuo mutamento. È quindi impossibile indicare delle fonti valide per sempre. Di seguito indichiamo alcuni testi solo come consiglio di lettura, da considerare come una tappa, non un punto di arrivo.
FONTI:
Guido Barbujani, Europei senza se e senza ma. Storie di neandertaliani e di immigrati, Bombiani 2008
Silvana Condemi e François Savatier, Mio caro Neandertal, Bollati Boringhieri 2018
Giorgio Manzi, Homo Sapiens. Breve storia naturale della nostra specie, Il Mulino 2006
Giorgio Manzi, L’evoluzione umana. Ominidi e uomini prima di Homo Sapiens, Il Mulino 2007