1. Missionari, mercanti ed esploratori
Le grandi potenze europee iniziarono la colonizzazione dell’Africa nella seconda metà dell’Ottocento. I motivi che le spingevano erano molti, e non solo economici.
In primo luogo era cambiato l’approccio della religione. Nei secoli precedenti i missionari cristiani ritenevano giusto strappare gli Africani alla loro terra. Lo scopo era salvare le anime dei “poveri selvaggi”. Ora invece condannavano le violenze e i massacri causati dalla tratta degli schiavi. Bisognava impedirli, dicevano. E pensavano che l’unico modo per farlo fosse acquisire il controllo diretto di quelle terre. Solo una presenza europea stabile avrebbe, secondo loro, portato giustizia e pace.
C’erano poi ogni sorta di esploratori e di avventurieri, desiderosi di partire per quelle regioni ignote. L’interno dell’Africa era completamente sconosciuto. Sulle carte geografiche c’erano grandi spazi bianchi e vuoti. Bisognava riempirli.
Anche gli uomini d’affari rivolsero i propri sguardi verso l’Africa. In Europa si stavano diffondendo le moderne industrie. La produzione delle merci si stava meccanizzando. Le macchine iniziavano a fare il lavoro degli uomini. Gli schiavi non servivano più.
C’era invece un estremo bisogno di nuovi clienti. Il mercato dei Paesi occidentali era diventato troppo piccolo per l’enorme quantità di merci che usciva dalle industrie. Bisognava trovare un nuovo sbocco, per non rimanere con i magazzini pieni di merce invenduta. Era inoltre necessario proteggere i prodotti europei dalla concorrenza di quelli provenienti dagli Stati Uniti e dalla Russia. Proprio in quegli anni infatti entrambe queste nazioni stavano emergendo, e assumendo un ruolo internazionale sempre più marcato.
L’Africa sembrava fatta apposta per risolvere entrambi questi problemi.
Fu l’interesse economico, naturalmente, a guidare le spedizioni sia dei missionari che degli esploratori.
I missionari venivano inviati nelle regioni che i governi avevano individuato come più promettenti dal punto di vista economico. Ben pochi furono quelli che partirono animati da semplice zelo religioso.
Quanto agli esploratori erano anche loro, per la maggior parte, al servizio dei governi. Il problema principale era stabilire il corso dei fiumi. E questo al fine di usarli come vie di comunicazione. Il Congo, il Niger, lo Zambesi erano enormi, lunghissimi e tortuosi. Non si sapeva con esattezza dove scorressero, o quale fosse uno e quale l’altro. Una vera ossessione geografica fu invece la ricerca delle sorgenti del Nilo. Il grande fiume faceva parte della storia dell’uomo da tempi immemori, ma il luogo dove nasceva era del tutto sconosciuto agli Europei.
Tra gli esploratori, i più importanti furono senz’altro DAVID LIVINGSTONE e HENRY MORTON STANLEY.
Livingstone amava davvero l’Africa, che percorse in lungo e in largo, e ne fu riamato. Tutte le popolazioni nere che incontrò, e che trattò sempre con il massimo rispetto, serbarono di lui un ottimo ricordo.
Stanley, al contrario, oltre che un esploratore era soprattutto un uomo ben introdotto nei giri che contavano. Abilissimo a ottenere fondi per le sue spedizioni, divenne un vero esperto del continente, dal punto di vista politico non meno che da quello geografico. Le sue conferenze in Europa erano affollatissime, i governi se lo contendevano. E fu proprio lui, com’è noto, a ritrovare Livingstone, di cui in Europa non si avevano più notizie. L’incontro tra i due è passato alla Storia per via della celebre frase “Il Dottor Livingstone, suppongo.”.
DAVID LIVINGSTONE (in alto) e HENRY MORTON STANLEY (in basso) – Wikimedia Commons
2. La spartizione
La ricerca di nuovi mercati e le esplorazioni geografiche tennero impegnata l’Europa per buona parte dell’Ottocento. Fu solo a partire dal 1880 che si procedette a una vera e propria spartizione.
Fu la Francia a cominciare. Già da qualche decennio aveva strappato l’Algeria all’Impero Ottomano, e vi aveva aggiunto la Tunisia e il Marocco. Poi si dedicò al resto dell’Africa Occidentale, che dominò quasi per intero, ad eccezione di alcune colonie inglesi sul Golfo di Guinea.
L’Inghilterra, per parte sua, all’inizio del secolo si era insediata in Sudafrica, togliendolo all’Olanda. E già da tempo controllava l’Egitto, il quale a sua volta controllava il Sudan. L’Egitto restava formalmente indipendente, ma era stato costretto ad accettare il Protettorato britannico.
L’Inghilterra acquisì poi il Kenya e un pezzo di Somalia, oltre a tutta una serie di territori nelle regioni sud-orientali.
La Germania arrivò per ultima. Infatti era diventata uno Stato unitario (il cosiddetto Secondo Reich) solo nel 1870, dopo la vittoria nella guerra contro la Francia. Ma recuperò ben presto terreno. Le sue due colonie principali erano l’Africa del Sud Ovest (oggi Namibia) e l’Africa Orientale Tedesca (oggi Tanzania). A differenza delle altre potenze ebbe però più seri problemi di gestione finanziaria. Il celebre Cancelliere Bismarck, vero artefice dell’unificazione tedesca, considerava le colonie un pesante fardello economico. Ma sapeva bene che farne a meno era impossibile.
Le colonie tedesche furono confiscate al termine della Prima Guerra Mondiale, che la Germania aveva perso, e distribuite tra i vincitori.
Quanto all’Italia, per il momento non poteva nemmeno sognare di possedere un impero coloniale. Ma una volta conquistatolo si sarebbe rivelata anch’essa violenta e brutale. E il Fascismo c’entra solo in parte.
La spartizione ufficiale dell’Africa avvenne alla CONFERENZA DI BERLINO DEL 1885.
I risultati di questo incontro si vedono ancora oggi. Basta guardare una carta politica dell’Africa per rendersi conto che i confini degli Stati sono, quasi sempre, netti e diritti, tracciati con il righello. Alcuni popoli che avevano sempre vissuto uniti vennero divisi. Altri, che erano sempre stati nemici, furono chiusi all’interno dei medesimi confini. I regni locali vennero invasi e conquistati, le rivendicazioni di riconoscimento internazionale ignorate.
Le questioni finanziarie relative alle colonie preoccupavano comunque tutti gli Stati europei. E nessun governo era disposto a investirvi troppi fondi pubblici. Le colonie avrebbero dovuto essere autosufficienti.
I funzionari inviati in Africa disponevano di scarsi mezzi. Ed erano anche pochissimi di numero. In queste condizioni dovevano gestire, mantenere l’ordine e far fruttare territori immensi, abitati da decine di milioni di persone.
I governi contavano sul capitale dei privati. Ma questi, dopo una prima fase di impegno economico, smisero di investire, e si dovette passare alla gestione pubblica.
Stando così le cose, stupisce che l’Europa sia riuscita a dominare stabilmente l’Africa per quasi un secolo. Eppure fu proprio così.
A complicare la situazione degli Africani si misero poi i loro eterni nemici: il clima e le malattie.
Abbiamo già visto ( https://stefanotartaglino.it/africa-da-riscoprire-la-tratta-degli-schiavi-parte-7-di-8) come questi fattori avessero influenzato lo sviluppo umano in Africa. Alla fine dell’Ottocento si ripresentarono entrambi. A partire dal 1890 l’Africa Occidentale fu colpita dalla siccità per vari anni di seguito. E ad essa seguirono la carestia e le epidemie: tifo, colera e vaiolo si abbatterono sulle comunità già indebolite.
In altre zone invece, allora come oggi, imperversavano le cavallette. Enormi sciami composti da miliardi di insetti divoravano i già scarsi raccolti. Una calamità che tuttora mette a dura prova le comunità di agricoltori, e contro la quale non c’è alcuna difesa.
Ma il colpo più grave di quegli anni doveva ancora arrivare: la PESTE BOVINA.
Comparsa per la prima volta in Somalia nel 1889, si diffuse in un lampo in tutto il continente. E uccise il 95% del bestiame. I bovini africani infatti non possedevano difese immunitarie contro questo virus, che arrivava dall’Asia. E che colpì anche gli animali selvatici, in particolar modo le giraffe, gli gnu e i bufali.
Secondo alcune fonti a portare la malattia in Africa furono gli Italiani. In quegli anni infatti l’Italia iniziava il proprio intervento militare, e aveva già stabilito una guarnigione a Massaua, in Eritrea. Per nutrirla importò dalla Russia e dall’India bestiame poi rivelatosi infetto.
Oltre alla crisi economica, la peste bovina provocò il crollo culturale e sociale di tutte le popolazioni che vivevano di allevamento. Da secoli infatti il possesso di bestiame era indice di ricchezza e prestigio. Le tradizioni, la storia, la vita quotidiana ruotavano intorno al bestiame. E quando le mandrie iniziarono a morire, le comunità si trovarono senza punti di riferimento.
Oggi per fortuna la peste bovina sembra scomparsa per sempre. L’ultima epidemia è stata registrata nel 2001. Grazie a campagne di profilassi e soprattutto di vaccinazione le organizzazioni sanitarie internazionali l’hanno dichiarata estinta nel 2011. Dopo il vaiolo umano, è stata la seconda malattia a essere sconfitta dalla scienza.
3. Le conseguenze
Gli Europei non si limitarono a privare l’Africa della sua indipendenza e a incamerarne le ricchezze. Le strapparono via anche la sua storia, la sua memoria, la sua cultura.
Tutti i più pregiati prodotti artistici africani presero la via dell’Europa. Statue, gioielli, armi, maschere e oggetti rituali finirono nei musei. L’arte africana qualche volta esercitò un influsso su quella europea dell’epoca, come nel caso di Picasso. Ma è un ben misero risarcimento.
Oggi è stato proposto di restituire all’Africa le opere d’arte che le furono sottratte dalle autorità coloniali. Il dibattito è però ancora in corso (ne abbiamo parlato qui:https://stefanotartaglino.it/restituire-le-opere-darte )
Oltre a tutto questo c’è, naturalmente, il RAZZISMO. La credenza nella superiorità della razza bianca sulle altre è, com’è noto, presente ancora oggi. Le origini del moderno concetto di razzismo sono ancora molto dibattute. Ma non si possono dimenticare le violenze che ha generato, tra cui le grandi tragedie del Novecento. Violenze che sono proseguite per tutto il secolo ormai trascorso, come dimostra il regime dell’apartheid in Sudafrica.
Un’altra idea sbagliata che guidava i colonialisti, anch’essa presente ancora oggi, è che l’Africa fosse vuota. Dominava la convinzione che lì vivessero esseri umani rimasti fermi all’Età della Pietra. E che quelli più avanzati fossero sottoposti all’arbitrio di re malvagi e tiranni sanguinari.
Gli Europei pensavano che sarebbero stati accolti come liberatori, e che non avrebbero incontrato nessuna resistenza.
Anche questa è un’idea sbagliata, e purtroppo ancora diffusa. Dato che non si conosce la storia dell’Africa, si pensa che il dominio europeo sia stato accettato supinamente.
La resistenza in realtà ci fu, ovunque. E non solo con le armi. Gli Africani furono asserviti nel corpo, ma non nella mente. Non smisero mai di lottare, di credere, di sognare l’indipendenza. A differenza di quanto pensavano gli Europei, possedevano un forte sentimento nazionale. E questo non era limitato al proprio luogo d’origine, ma era veramente pan-africano. L’Africa sapeva di essere diversa e unica, e di esserlo per intero.
FONTI:
Anna Maria Gentili, Il leone e il cacciatore. Storia dell’Africa sub-sahariana, Carocci 2008
Joseph Ki-Zerbo, Storia dell’Africa nera, Einaudi 1977
Roland Olivier – John D. Fage, Breve storia dell’Africa, Einaudi 1965
John Reader, Africa. Biografia di un continente, Mondadori 2017