Diffusione e caratteristiche
Il lupo italiano è una delle tante sotto-specie riconosciute di lupo, e viene chiamato Canis lupus italicus.
In passato per distinguere una sotto-specie di qualsiasi animale ci si basava solo sull’osservazione diretta. Oggi invece sono disponibili le analisi genetiche, che possono confermare o meno l’assegnazione scientifica tradizionale. Nel caso del lupo italiano si è avuta la conferma.
I lupi italiani possono essere divisi in due popolazioni distinte: quella degli Appennini e quella delle Alpi.
I lupi degli Appennini sono rimasti isolati già migliaia di anni fa, al termine delle ultime glaciazioni. Il fiume Po ha inoltre fatto da barriera.
Dagli Appennini sono ripartiti, in tempi recenti, e hanno ricolonizzato le Alpi Occidentali. Sulle Alpi Orientali invece sono arrivati partendo dai Balcani.
Sulle Alpi, naturalmente, non tengono conto dei confini, e infatti sono imparentati a livello genetico con i loro consimili delle nazioni vicine.
Sono presenti anche intorno a Roma e in Puglia. Nel Lazio, in particolare, c’è abbondanza di cinghiali. E infatti in quest’area si sono registrati pochissimi attacchi al bestiame.
Non sono invece più tornati in Sicilia, da dove erano stati completamente eradicati. In Sardegna invece non sono proprio mai esistiti, neanche in passato.
Normalmente si pensa che il lupo viva in montagna. Ma da qualche anno sono stati documentati branchi in pianura e persino lungo le coste toscane.
La nuova diffusione del lupo è stata oggetto di vere e proprie FAKE NEWS, e questo già anni prima che diventassero un tema diffuso.
Sembrava impossibile che i lupi fossero in grado di coprire grandi distanze da soli. Si cominciò a dire che venivano trasportati con gli elicotteri, o che venissero usati misteriosi furgoni di colore rosso.
Già allora si fece dunque strada una teoria del complotto, identica a quelle che conosciamo oggi nel campo della politica o dei vaccini. Qualcuno, era chiaro, aveva voluto il ritorno del lupo, con losche finalità non meglio precisate.
La realtà è ben diversa.
I lupi sono effettivamente capaci di spostarsi anche per centinaia di chilometri. Ma “spostarsi” NON vuol dire “sistemarsi” in un nuovo territorio.
I media, come al solito, strillano ad ogni lupo che viene avvistato. Compaiono articoli dai titoli sensazionali, si teme per le proprie case, i propri cani, i propri bambini.
Ma, come una rondine non fa primavera, un lupo di passaggio non crea problemi, a nessuno.
Si fermerà solo se, quando e dove troverà un partner, una buona disponibilità di prede selvatiche e un territorio dove stabilirsi che sia al sicuro e lontano dall’uomo.
Il lupo ha infatti paura dell’uomo. Se può, lo evita. Ma non sempre può.
I lupi infatti sono maggiormente attivi di notte, perché è il momento in cui l’uomo non c’è.
Se l’uomo non c’è tutti gli animali si sentono più sicuri. Può capitare di vederli ricomparire nei paesi e nelle città, come testimoniano i curiosi avvistamenti durante il lockdown imposto dalla pandemia.
Questo vale anche per i lupi. Di notte può succedere che attraversino i paesini di montagna, o che li si veda lungo le strade. Ma sono semplicemente di passaggio. Non costituiscono una minaccia diretta per l’uomo, nel modo più assoluto.
In Italia i lupi sono protetti dagli anni Settanta. Né nel nostro Paese né in Europa sono mai stati attivati programmi di ripopolamento, come avviene invece in America. I lupi sono tornati da soli.
Questo è stato possibile non solo grazie ai decreti di protezione, ma soprattutto allo spopolamento dei territori montani. Gli abitanti, trasferitisi in città, hanno abbandonato campi e pascoli. La vegetazione è ricresciuta. L’habitat del lupo è rinato.
Gli attacchi al bestiame
In Italia il lupo è stato cacciato soprattutto perché minacciava gli allevamenti. Sono infatti passati oltre 150 anni dall’ultimo attacco ad un uomo.
Con la scomparsa del lupo erano però andate perse anche le buone pratiche di protezione del bestiame che per secoli gli allevatori avevano attuato.
Si cominciò a far pascolare il bestiame senza controllo, lasciandolo fuori dai recinti anche di notte. Tanto, minacce non ce n’erano più.
Quando i lupi sono tornati, hanno cominciato ad attaccare il bestiame perché era senza protezione alcuna. Non c’erano cani da guardia, non c’erano recinti. Inoltre mucche, capre e pecore si erano disabituate al lupo. Avevano perso la capacità di stare in guardia, e di rimanere al sicuro nella mandria o nel gregge se si sentivano minacciate.
Le prede selvatiche erano sempre meno, e quelle poche sapevano difendersi. Il bestiame domestico era numeroso, e totalmente inerme.
Cosa avrebbe dovuto scegliere un lupo?
In Italia, a tutt’oggi, manca completamente una politica comune riguardo gli indennizzi a cui gli allevatori hanno diritto per gli attacchi al bestiame da parte dei lupi. Alcune Regioni ripagano i danni, altre no. Le regole variano a seconda delle zone, in un totale caos normativo.
Da molti anni gli allevatori mettono a protezione del bestiame cani di razza pastore maremmano. Sono particolarmente adatti a questo compito, e sempre più spesso vengono richiesti anche all’estero.
(Cane Pastore Maremmano – immagine tratta da Wikipedia)
Con il ritorno del lupo gli allevatori hanno ricominciato a darsi da fare per controllare il bestiame. Non solo con i cani, ma con recinti – spesso elettrificati – e riportando le bestie in stalla per la notte.
Il lupo si è reso conto che il bestiame domestico è di nuovo difficilmente accessibile. E non è nella sua natura intestardirsi in un’impresa faticosa e piena di rischi. Tanto più che le prede selvatiche sono di nuovo in aumento, e molto più a portata di mano, anzi, di zampa.
Gli erbivori selvatici costituiscono oltre il 90% della dieta del lupo. A seconda delle zone le sue prese possono comprendere cervi, caprioli e cinghiali. Stambecchi e camosci sono invece più al sicuro da una predazione diretta, perché vivono sui versanti scoscesi delle montagne, dove i lupi non riescono ad arrivare.
Un caso curioso è quello del muflone. Questo erbivoro dalle enormi corna è originario della Sardegna, regione dove il lupo non è mai esistito, neanche in passato.
Il muflone è stato introdotto sulle Alpi, sia in Italia che in Francia. All’inizio, dato che non aveva mai incontrato il lupo, ne finiva spesso preda. Poi il tempo ha messo le cose a posto, e adesso anche i mufloni temono il lupo e hanno imparato a difendersi.
Come il lupo diventò cattivo
Il lupo è entrato anche nella mitologia locale. C’è, naturalmente, la celebre storia della Lupa Capitolina, che allattò i gemelli Romolo e Remo. Ma si credeva anche che certe parti del suo corpo curassero le malattie o avessero poteri magici. Il lupo era quindi un ingrediente importante della medicina tradizionale, un po’ come avviene per le tigri in Cina.
(La Lupa Capitolina, simbolo di Roma – datazione incerta, i gemelli furono aggiunti nel Quattrocento dall’artista Antonio del Pollaiolo – Roma, Musei Capitolini)
La fama sinistra del lupo si è sviluppata nel Medioevo.
L’affermarsi del Cristianesimo portò alla diffusione di un particolare tipo di libri: i cosiddetti bestiari. Erano dei trattati che presentavano varie specie animali, reali e immaginarie, alla luce dell’interpretazione cristiana. Non c’era alcuna osservazione diretta sul campo dei loro comportamenti naturali, perché non interessava. Ciò che importava era renderli simboli delle virtù cristiane o, al contrario, dei più turpi peccati.
Il lupo viene descritto in questi libri come astuto, demoniaco e crudele.
(Lupo che attacca le pecore, Folio 16 verso del Bestiario di Aberdeen, Dodicesimo Secolo – Aberdeen, Biblioteca dell’Università)
Dante, quando si perde nella Selva Oscura, incontra tre belve: una lince, un leone e una lupa. È quest’ultima a terrorizzarlo, più ancora del leone.
Secondo l’interpretazione del Sommo Poeta, la lupa simboleggia l’Avarizia, uno dei Sette Peccati Capitali: è magra ed emaciata, poiché per quanto mangi non riesce mai a saziare la sua fame rabbiosa. (Per un commento completo al primo canto dell’Inferno vedi https://stefanotartaglino.it/dante-senza-paura-inferno-canto-1 )
C’è poi il famoso episodio del Lupo di Gubbio, ammansito da San Francesco. Ma è solo uno dei tanti. Sono infatti molti i Santi che incontrano un lupo e lo rendono inoffensivo grazie al potere della fede. Storie diffuse nelle comunità locali, Santi di secondo piano, ma ci sono.
(Luc-Olivier Merson, Il lupo di Gubbio, 1877 – Lille, Palais des Beaux Arts)
Gli ibridi
Un fenomeno molto diffuso è quello degli ibridi lupo-cane, che stanno diventando un problema.
L’ibridazione è avvenuta già molte generazioni (di lupo) fa, quando gli esemplari in Italia erano ancora pochi e c’erano invece molti cani, sia randagi sia lasciati liberi di correre per i boschi. Gli incroci sono quasi tutti dello stesso tipo: una lupa e un cane maschio.
Un ibrido non è dunque per forza lupo al 50% e cane al 50%.
Si potrebbe pensare che gli ibridi, avendo dentro di sé i geni dei cani, abbiano meno paura dell’uomo, e per questo siano più pericolosi rispetto ai lupi “puri”. Ma non è così. Gli ibridi si comportano in tutto e per tutto come lupi, e anche il loro aspetto non differisce molto: solo un naturalista esperto riesce a riconoscere le differenze.
Curiosità: un esempio di ibrido lupo-cane che tutti conoscono è Due Calzini, il lupo che viene a trovare John Dunbar (Kevin Costner) in Balla coi lupi. Lo si riconosce proprio per le zampe anteriori in parte bianche, evidente risultato dell’incrocio con un cane.
In Italia gli ibridi lupo-cane hanno spesso il manto nero. Nel nostro Paese questo colore non esiste in Natura: i lupi italiani “puri” sono grigi o marroni. Il nero è invece uno dei colori caratteristici dei lupi americani.
Un’ibridazione voluta e pianificata dall’uomo è invece quella che ha dato origine alla razza di CANE LUPO CECOSLOVACCO.
La razza è stata selezionata a partire dagli Anni Cinquanta, facendo accoppiare i lupi, maschi e femmine, con cani pastore tedesco. Negli Anni Novanta la nuova razza è stata certificata dalla Federazione Cinologica Internazionale.
Il cane lupo cecoslovacco ha subito avuto un grande successo tra gli appassionati, proprio perché assomiglia a un lupo.
Ma la sua indole selvatica, ancora ben presente, ne fa un cane facile alla fuga. I randagi sono spesso scambiati per lupi, contribuendo all’allarmismo generale tra la gente e sui media.
(Cane lupo cecoslovacco – immagine tratta da Wikipedia)
Non è ancora chiaro se e come l’esistenza degli ibridi metta in pericolo la specie. Bisogna però partire dal presupposto che lo faccia, e quindi evitare il più possibile l’interazione tra lupi e cani.
Sterilizzare i cani può sembrare un atto contro natura, ma in realtà in questo modo si combatte il randagismo e si evitano gli incroci con i lupi.
Proprio il randagismo è un altro problema. Molti attacchi attribuiti ai lupi potrebbero in realtà essere opera di cani randagi. Il randagismo è un fenomeno diffuso in tutta Italia, non solo al Sud come spesso si crede. E, ovviamente, anche i cani ridivenuti selvatici tenderanno a formare branchi.
Riconoscere se un animale è stato attaccato da un lupo o da un cane randagio è, in realtà, abbastanza facile.
Il lupo morde alla gola: sa che si tratta del punto più vulnerabile della preda, e che un morso lì porta ad una morte rapida.
Un cane randagio morde a casaccio, dove capita, senza una strategia: e a volte l’animale attaccato sopravvive, perché non è stato ferito in punti vitali.
Gli incontri con i cani non sono comunque sempre pacifici. Quelli di taglia grande sono visti come potenziali partner per l’accoppiamento. Ma quelli piccoli sono considerati prede.
Perché proteggere il lupo?
Tra le minacce al lupo in Italia c’è il bracconaggio. Un fenomeno impossibile da stimare, ma estremamente diffuso. I bracconieri, oltre ai fucili e alle trappole, utilizzano bocconi avvelenati.
Le guardie forestali hanno risposto – grazie, ancora una volta, a finanziamenti dell’Unione Europea – con l’istituzione di nuclei cinofili antiveleno. Vengono impiegati cani addestrati a ritrovare i bocconi avvelenati e le carcasse di animali che i bracconieri lasciano appositamente nei boschi dopo averle imbottite di sostanze tossiche.
Nonostante gli attacchi al bestiame domestico siano in calo gli allevatori sono sempre sul piede di guerra.
È di quest’estate la notizia di una loro aggressione non a un lupo, ma – udite udite – a uno scrittore di libri per bambini, colpevole di aver pubblicato un libro in cui si esalterebbe il lupo. L’autore ha dovuto interrompere la presentazione del suo libro e fuggire, dopo essere stato minacciato di morte.
Oltre agli allevatori, ci sono anche i cacciatori a non volere il lupo. Lo accusano di rubare le loro prede, provocandone una diminuzione eccessiva e repentina.
Un cacciatore va in cerca di trofei, come il palco di corna di un cervo. Per questo uccide esemplari forti, sani, nel pieno del loro vigore. Questo crea uno squilibrio, perché toglie di mezzo proprio quelli che mantengono in salute la specie.
Il lupo invece caccia esemplari vecchi o malati, contribuendo al rafforzamento delle popolazioni selvatiche.
Il lupo, essendo un predatore al vertice della catena alimentare, è inoltre una “specie-ombrello”.
Si definisce “specie-ombrello” quella specie, animale o vegetale, la cui conservazione, protezione e cura contribuisce alla salvaguardia dell’intero territorio dove vive.
In ogni parte del mondo infatti, quale che sia l’habitat, ciascuna specie vivente è connessa alle altre. Questo è stato ormai ampiamente dimostrato da decenni di studi. Cancellare una specie, anche la più piccola, dal suo habitat provoca un effetto a cascata che si ripercuote in maniera negativa su tutte le altre.
Il lupo è inoltre un animale mediatico. Ha successo, è conosciuto, è una star. Spingere per la sua protezione permette di ricevere finanziamenti che serviranno a proteggere anche altre specie.
A un ricercatore che cerchi di sensibilizzare l’opinione pubblica sulla necessità di salvaguardare una rana o un insetto è molto probabile che si rida in faccia.
Ma se il ricercatore di cui sopra si mette a parlare del lupo, l’opinione pubblica ascolta. Magari non si convince, ma perlomeno ascolta.
FONTI:
Francesca Marucco, Il Lupo. Biologia e gestione sulle Alpi e in Europa, Il Piviere Edizioni, 2014
Riccardo Rao, Il tempo dei lupi. Storia e luoghi di un animale favoloso, UTET 2018
Daniele Zovi, Italia selvatica, UTET 2019