Il girotondo delle iene è un romanzo poliziesco di Luca D’Andrea, scrittore altoatesino che ha già all’attivo numerose pubblicazioni con Einaudi, ed esordisce con questo testo presso Feltrinelli.
Siamo a Bolzano, nei primi anni Novanta. Preistoria, direbbe qualcuno. Computer e cellulari sono ancora pochi e inaffidabili, e i prodigi delle scienze forensi che ci sono diventati così familiari da CSI in poi sono ancora di là da venire. Poliziotti e giornalisti usano macchine da scrivere, e per le ricerche si va in biblioteca.
Le indagini sull’omicidio di una prostituta, a cui ne seguiranno altri, portano il lettore a conoscere da vicino la realtà dell’Alto Adige. Niente più paesaggi da cartolina, niente più città dove si vive bene, niente più efficienza teutonica. Le periferie, i bassifondi, gli ultimi della società sono quelli che si incontrano ovunque. E anche qui, ben più che altrove, si fa finta di non vederli, perché bisogna presentarsi bene ai turisti.
Krupp conosceva la trafila: prendi questi spiccioli e non farti vedere dai turisti.
Tedeschi e italiani vivono e lavorano fianco a fianco. Nella storia non c’è traccia delle rivendicazioni autonomiste, degli odi nazionalistici, del periodo degli attentati. C’è però il ruolo del Partito, ovvero il Südtiroler Volkspartei (Partito Popolare Sudtirolese).
Una giornalista di una testata nazionale aveva osato l’inosabile. Aveva intervistato l’ex-presidente della provincia autonoma, padrino, padrone e padre spirituale del Partito.
“Due omicidi efferati nel giro di tre mesi, che idea si è fatto, presidente?”
La risposta era stata lapidaria, perché non eri padrino, padrone e padre spirituale del Partito se avevi parole da sprecare.
“Colpa del benessere”.
Benessere: due suicidi a settimana, overdosi, fabbriche che chiudevano, tensione etnica strisciante, eroina a fiumi, cocaina a far girare l’economia nei cantieri o nei campi…
Il presidente tratteggiava il paesaggio di un mondo inesistente, e chi accettava di vivere in quella simulazione passava un’ esistenza fatata, dorata e perfetta: sordi, ciechi e pronti a mettere ai ceppi chi avesse osato indicare la nudità del re.
I personaggi sulla scena sono molti, tra protagonisti principali e figure di contorno. E tutti, che siano poliziotti o giornalisti, approfittano delle donne uccise per i propri interessi, come iene intorno a una carcassa. Non esistono buoni o cattivi, non esistono eroi senza macchia, nessuno ha la coscienza pulita.
Chi diceva che la parola “omertà” avesse senso solo da Roma in giù, non aveva idea di cosa fosse il maledetto Nord. E l’Alto Adige era Nord al massimo del suo splendore. Cinismo italiano spacciato come “realismo” e teutonica indifferenza dipinta come “autocontrollo” fusi in un unico blocco di apatia e rancore.
L’epilogo è forse un po’ sbrigativo: c’è la necessità di chiudere le storie di tutti i personaggi, forse per evitare di dilungarsi ulteriormente dopo quasi settecento pagine.
Nonostante la mole il libro è molto scorrevole. La storia si dipana rapida, incalzante. Non per gli indizi che si susseguono fino a portare alla soluzione del caso, della quale in fondo importa poco. Ma per le reazioni che ciascuno dei protagonisti sperimenta a mano a mano che la vicenda prosegue.
La storia si ispira al caso del “mostro di Bolzano”, un vero serial killer che agì in città tra gli anni Ottanta e Novanta (potete leggere di più qui: https://it.wikipedia.org/wiki/Marco_Bergamo ).