Ebraismo (Parte Terza) : inventare il passato, inventare Dio

Dove : regione corrispondente all’attuale Israele
Quando : dal 537 avanti Cristo al 323 avanti Cristo
Perché : perché la Bibbia NON ha ragione
Di cosa parleremo : di come nacquero le grandi storie della Bibbia, e di come Yahweh divenne l’unico Dio.

L’esilio a Babilonia finì in modo abbastanza inaspettato. Dopo soli quarant’anni gli Ebrei poterono fare ritorno a casa.
Il loro “liberatore”, se così si può dire, fu Ciro il Grande, fondatore dell’Impero Persiano. Appartenente alla dinastia degli Achemenidi, aveva abbattuto il potere del popolo dei Medi, di cui fino a quel momento i Persiani erano stati vassalli, e aveva poi iniziato ad espandere il proprio regno fino a scontrarsi con Babilonia, che aveva conquistato.

Con un editto reale, di cui possediamo parte del testo (riportato all’inizio del Libro di Esdra), Ciro concesse agli Ebrei di ritornare nella propria patria.
Naturalmente non lo fece per bontà d’animo. La sua era una mossa politica: mostrarsi magnanimo verso un popolo significava assicurarsene la fedeltà ed evitare ribellioni. Funzionò: per gli oltre duecento anni di durata dell’impero achemenide gli Ebrei non si rivoltarono mai contro il potere centrale.
Comunque non tutti gli Ebrei fecero ritorno. Molti scelsero di rimanere a Babilonia, dando origine a una delle più fiorenti comunità del Vicino Oriente, che si mantenne viva e vitale per molti secoli, fino alle soglie del Medioevo.
Grazie a questo atto di favore nei loro confronti, ben presto gli Ebrei videro in Ciro un uomo della provvidenza, strumento dei disegni di Yahweh, che lo aveva usato per punire Babilonia. Lo leggiamo chiaramente nel Libro di Isaia, un testo fondamentale di cui parleremo tra qualche riga.

Il rientro in patria degli esuli non fu comunque del tutto indolore. Ci vollero alcuni anni prima che la situazione si stabilizzasse e si potesse effettivamente iniziare a ricostruire il Tempio. Ma infine i problemi interni vennero superati. A capo del Tempio venne posto un Sommo Sacerdote (è la carica che, al tempo di Gesù, sarà ricoperta da Caifa), mentre il potere civile venne esercitato, non potendovi essere più un re, da un governatore, il quale doveva ovviamente rispondere del proprio operato ai Persiani.
Risolta così la questione politica, era venuto il momento di pensare di nuovo a Dio.

Il nuovo rapporto con l’Onnipotente sviluppato negli anni dell’esilio venne istituzionalizzato sotto forma di un patto tra Dio e il suo popolo. E si elaborò una tradizione in base alla quale questo patto venne fatto risalire molto indietro nel tempo, secoli e secoli prima, inventando una figura mitica che sarebbe stata all’origine di tutto: ABRAMO.

Con il tempo inoltre si iniziò a guardare a Dio in un modo completamente nuovo, che avrebbe dato origine a importanti conseguenze, e non solo per gli Ebrei.
Fino a questo momento Yahweh era sì l’unico Dio del popolo ebraico, ma era considerato un Dio “nazionale”, al pari di quelli dei popoli vicini. Gli Ebrei credevano in lui e solo in lui, ma ammettevano tranquillamente che gli altri popoli potessero avere altri Dei.
Ora invece andò affermandosi l’idea che il Dio degli Ebrei dovesse essere il Dio di tutti i popoli. L’unico esistente, da sempre e per sempre.
Alcuni passi del Libro di Isaia, risalenti alla seconda metà del Sesto Secolo avanti Cristo (ultimi anni dell’esilio e primi anni del ritorno), mostrano bene questa nuova concezione di Dio:

<< Prima di me nessun dio venne formato, e non ce ne sarà un altro dopo di me. Io, io sono Yahweh, non c’è altro salvatore all’infuori di me. Sono io che ho rivelato, salvato, proclamato. >> (Isaia, 43: 10 – 12)
<< Io sono il primo e io sono l’ultimo. All’infuori di me non c’è Dio. >> (Isaia, 44:6)
<< Solo in te è Dio, non ce ne sono altri; non esistono altri dei. >> (Isaia, 45:14)
<< O nazioni di tutta la terra, volgetevi a me e sarete salve, perché io sono Dio, non ce n’è un altro.>> (Isaia, 45:22)
<< Ascoltatemi attenti, o popoli; nazioni, porgetemi l’orecchio. Poiché da me uscirà la legge, il mio diritto sarà la luce dei popoli. La mia vittoria è vicina, la salvezza che io porto si manifesterà come luce; le mie braccia governeranno i popoli.>> (Isaia, 51: 4 – 5)
<< Perché il popolo e il regno che non vorranno servirti periranno, e le nazioni saranno tutte sterminate.>> (Isaia, 60:12)
<< Io verrò a radunare tutti i popoli e tutte le lingue: essi verranno e vedranno la mia gloria. […] Uscendo, vedranno i cadaveri degli uomini che si sono ribellati contro di me: perché il loro verme non morirà, il loro fuoco non si spegnerà e saranno un abominio per tutti.>> (Isaia, 66: 19 – 24)
Concetti forti, granitici, che ovviamente il Cristianesimo si affretterà a fare propri.

Va detto comunque che gli Ebrei non ebbero mai una spinta verso il proselitismo. Non costrinsero mai nessuno, né individuo né popolo intero, a convertirsi all’Ebraismo (tranne che in un caso, come vedremo nel prossimo post). Non inviarono missionari né apostoli tra le altre genti, come invece farà il Cristianesimo. Acconsentirono però volentieri, seppur con qualche riserva, ad ammettere tra di loro chi ne faceva espressa richiesta, perché attratto dalla visione ebraica di Dio e della vita, così diversa dai culti tradizionali. Un evento tutt’altro che raro, come avremo modo di vedere.

Ma l’importanza del Libro di Isaia non si esaurisce qui. In esso (7:14) è contenuta una profezia riguardante la nascita di un fanciullo destinato a portare la salvezza al popolo ebraico minacciato dall’invasione degli Assiri. Questo fanciullo avrà nome Emmanuele (“Dio è con noi”) e nascerà “da una giovane donna” (in ebraico almah, mentre secondo alcuni commentatori ebrei per definire una donna del tutto illibata la Torah utilizza il termine betulah). Ma gli autori cristiani, che inizialmente potevano leggere la Bibbia solo in greco (è la cosiddetta Bibbia dei Settanta, di cui parleremo nel prossimo post), vi trovarono il termine parthenos, che significa “vergine”: e fu automatico identificare la giovane donna con la Vergine Maria.
E non è ancora finita. In un capitolo successivo (53) si parla del Servo di Dio, che prenderà su di sé i peccati di tutto il popolo ebraico, sarà “disprezzato e reietto dagli uomini” ma infine sarà premiato da Dio, perché “si compirà per suo mezzo la volontà del Signore e dopo il suo intimo tormento vedrà la luce”. Sembra facile vedere in questo personaggio un’anticipazione di Gesù Cristo, cosa che puntualmente avvenne.
Questi due passi rappresentano un punto cruciale della polemica tra Cristiani ed Ebrei: come prevedibile, hanno fin da subito originato un dibattito che continua ancora oggi, nel quale non ci addentreremo oltre.
Il Libro di Isaia è compreso nel canone sia della Bibbia ebraica che di quella cristiana.

Qualche tempo dopo venne redatto un testo fondamentale, vero nucleo di quella che diventerà la Bibbia ebraica.
L’ ESODO.
Non è possibile fornire una data precisa per la sua composizione, ma solo un’indicazione di massima, ovvero un qualche momento a cavallo tra il Sesto e il Quinto Secolo avanti Cristo.
Il Libro dell’ Esodo, com’è noto, narra la storia di Mosè, con tutti i famosi episodi che ne fanno parte. Questa saga era già conosciuta fin dai tempi degli Assiri, ma solo adesso riceve una sistemazione definitiva. È del resto facilmente comprensibile come il racconto di una passata schiavitù e del ritorno nella Terra Promessa sia stato particolarmente apprezzato dagli esuli appena rientrati da Babilonia.
Bisogna poi notare come tutta la Legge di Mosè, quale è esplicitata nell’ Esodo e nei libri successivi, non preveda in nessun caso la presenza di un re, ma soltanto di un sacerdote (o di una casta di sacerdoti). Questo sembra molto strano in un mondo come quello del Vicino Oriente, dove ogni popolo, ogni regione, ogni città anche piccola ha il suo sovrano. Ma si spiega perfettamente in un contesto come quello dell’esilio e del ritorno, in cui l’indipendenza è stata persa da tempo (prima con i Babilonesi e ora con i Persiani), né ci sono prospettive di una liberazione: il popolo ebraico viene quindi governato dai sacerdoti, per il semplice fatto che non è possibile fare diversamente.

MOSÈ diventa progressivamente sempre più centrale nell’orizzonte di pensiero degli Ebrei, e assume il ruolo di profeta, colui che annuncia la Legge di Dio. Ma a differenza dei suoi successori, Gesù e Maometto, non è mai esistito. Non è un personaggio storico, ma letterario. La liberazione degli Ebrei dall’Egitto non è mai avvenuta: è un mito, un grande mito di fondazione di un popolo, ma non è Storia.

Ma attenzione. Questo non vuol dire che in Egitto non esistessero affatto comunità ebraiche. Anzi, c’erano eccome. Può darsi che vi giunsero sfuggendo a delle carestie, come racconta la storia biblica di Giuseppe. Ma non furono oppressi e schiavizzati dai Faraoni, men che meno da Ramesse II (con lui, di solito, viene identificato il Faraone dell’ Esodo), che visse molti secoli prima. Al contrario, gli ultimi Faraoni – siamo ormai al tramonto dell’Egitto, che sta per diventare una provincia dell’Impero Persiano – apprezzarono moltissimo questi immigrati ebrei: li impiegarono come manodopera agricola nella zona del Delta e, soprattutto, come mercenari, stanziati in varie guarnigioni del regno.

Più o meno nello stesso periodo dell’ Esodo venne scritto anche il Libro della GENESI. Non ci soffermeremo qui sul momento della creazione del mondo, che meriterebbe una trattazione a parte, né sull’episodio del Diluvio Universale (ne abbiamo parlato in Ebraismo (Parte Seconda) : in esilio a Babilonia). Ad Abramo abbiamo già accennato: nemmeno lui, ovviamente, è un personaggio storico, ma vale la pena di notare che la sua figura si colloca all’origine non solo dell’Ebraismo, ma anche del Cristianesimo e dell’Islam (la religione fondata da Maometto lo considera addirittura “il primo musulmano”, perché si affida completamente a Dio: esattamente quello che, nell’Islam, è richiesto al credente). Ecco perché Ebraismo, Cristianesimo e Islam vengono definite “religioni abramitiche”.

Dopo quella di Abramo vennero modellate le altre storie dei Patriarchi: Isacco, Giacobbe e la sua lotta con l’angelo, Giuseppe venduto dai fratelli. Benché in parte già note in epoche precedenti fu data loro forma definitiva in questo particolare momento per giustificare i rapporti, inizialmente molto tesi, tra gli esuli di ritorno da Babilonia e coloro che invece erano rimasti in patria. Ma bisognava fare i conti anche con le nuove genti che vi si erano insediate durante l’assenza degli Ebrei. Con esse si giunse progressivamente ad un accordo diplomatico, senza guerre: ma dal punto di vista mitico si preferì inventare le storie della “conquista di Canaan”, guidata da Giosuè (ricordiamo gli episodi della distruzione di Gerico e della battaglia in cui il condottiero chiese a Dio di fermare il sole per meglio avere ragione dei nemici).
Dal punto di vista etnico e politico infatti la “Terra Promessa” risulta ora composta da varie parti: al centro la Giudea propriamente detta, con Gerusalemme; a sud l’Idumea, la terra degli Edomiti, popolo che si era installato lì dopo la deportazione a Babilonia degli Ebrei: tra l’altro, di questa regione sarà originario Erode il Grande; a nord la Samaria, abitata sì da genti ebraiche ma con cui da secoli vi sono contrasti dal punto di vista dottrinale (ecco perché al tempo di Gesù i Samaritani vengono considerati malvagi, ed ecco perché acquistano valore gli episodi di Gesù e della Samaritana alla fonte e del Buon Samaritano che interviene in aiuto dell’uomo aggredito dai briganti); più a nord ancora la Galilea, terra ebraica ma molto provinciale e arretrata, che sarà la regione d’origine di Gesù.

 

 

(cartina della Giudea e delle regioni circostanti – tratta da M. Satlow, E il Signore parlò a Mosè. Come la Bibbia divenne sacra)

 

Sempre in questo stesso periodo (siamo, lo abbiamo detto, tra Sesto e Quinto Secolo avanti Cristo) vengono redatti gli altri tre libri.
Il Libro del Levitico deriva il suo nome dalla tribù di Levi, e contiene una lunga lista di precetti e prescrizioni per il culto. Scritto da sacerdoti, è destinato soprattutto ai membri di questa particolare tribù, che si dedicava unicamente al servizio di Dio.
Il Libro dei Numeri, chiamato così perché si apre con un censimento, racconta i quarant’anni passati a vagare nel deserto, prima di giungere alla Terra Promessa. Quarant’anni, guarda caso proprio quelli trascorsi a Babilonia. Si narra poi della distruzione di Gerico – città effettivamente esistita, e che oggi gli archeologi hanno riconosciuto essere una delle più antiche del mondo – e delle prime vittorie sulle genti che abitavano in Canaan.
Il Libro del Deuteronomio ha in ebraico un altro titolo, ovvero Devarim, “parole”, tratto dalla prima frase, che recita << Queste sono le parole >>. Il nome con cui è più conosciuto deriva dalla traduzione in greco, e significa “seconda legge”, ma si tratta di un errore, dovuto al fatto che esso contiene una seconda raccolta di leggi e precetti attributi a Mosè, che dovranno regolare la vita del popolo una volta raggiunta la Terra Promessa (ovvero quando abbandoneranno la vita nomade, regolata dalle leggi precedenti, e diventeranno sedentari).

Questi cinque libri compongono la TORAH, ovvero la parte più importante della Bibbia ebraica. Il termine viene di solito tradotto con “Legge”, ma è più corretto renderlo con “Insegnamento”.
A completare la Bibbia ebraica vi sono infine altre due parti, i Profeti e gli Scritti, ma sono meno importanti, perlomeno nell’esperienza comune. È la Torah ad essere centrale: in ogni sinagoga ne viene conservata una copia, che si presenta sempre, ancora oggi, sotto forma di rotolo (il formato dei libri nell’antichità, prima dell’invenzione del codice, ovvero il libro come lo intendiamo oggi) ed è sempre scritta a mano. La lettura della Torah nella sinagoga è un momento fondamentale della vita e delle pratiche religiose degli Ebrei.
All’interno di una sinagoga il fulcro centrale è costituito dall’ “armadio sacro”, ovvero il mobile dove sono conservati i rotoli manoscritti della Torah. Questo è posto sempre in modo da indicare la direzione di Gerusalemme.
Vale la pena di notare che, quando nascerà l’Islam, nelle moschee sarà fin da subito prevista una nicchia per indicare la direzione della Mecca: un esempio tra tanti di come la religione fondata da Maometto sia basata sui monoteismi che l’hanno preceduta.

Per quanto riguarda la sinagoga come istituzione, bisogna sottolineare che, curiosamente, essa non si diffuse subito nel mondo ebraico. Le prime nacquero solo quando gli Ebrei lasciarono, spontaneamente questa volta, la loro patria per andare a stabilirsi nelle principali città del Mediterraneo (e in particolare ad Alessandria d’Egitto, come vedremo).
In patria, invece, le prime sinagoghe comparvero solo molto tardi, appena pochi decenni prima dell’epoca di Gesù.
Anche l’usanza di leggere i rotoli della Torah appartiene a un’epoca molto più tarda. Inoltre, nel periodo di cui ci stiamo occupando ora (Sesto – Quinto Secolo avanti Cristo) non esiste ancora il concetto di “testo sacro”: attribuire un’autorità assoluta e perfetta ad un testo è una tendenza che si affermerà molto più avanti.

La Bibbia ebraica nel suo complesso è nota anche con il termine MIQRAI’, che significa “Letture”. La parola deriva da una radice comune a molte lingue semitiche, il gruppo linguistico a cui appartengono l’ebraico, l’aramaico e l’arabo, ma anche idiomi antichi oggi scomparsi, come il babilonese: in arabo in particolare questa radice darà origine alla parola QU’RAN, il Corano, che significa “recitazione”.
Molti secoli dopo, ma siamo già ampiamente dopo Cristo, la Torah venne attribuita per intero a Mosè, al quale Dio l’avrebbe rivelata parola per parola. Anche in questo caso c’è un parallelismo con l’Islam: il Corano sarebbe stato infatti consegnato a Maometto dall’arcangelo Gabriele.

Siamo arrivati al fondo dei limiti cronologici indicati in apertura di questo post. Sta per comparire sulla scena Alessandro Magno. Dopo di lui anche per gli Ebrei inizierà una fase totalmente nuova.

FONTI:
Israel Finkelstein e Neil Asher Silberman, Le tracce di Mosè. La Bibbia tra storia e mito, Carocci 2002 e successive ristampe
Mario Liverani, Oltre la Bibbia. Storia antica di Israele, Laterza 2003
Michael L. Satlow, E il Signore parlò a Mosè. Come la Bibbia divenne sacra, Bollati Boringhieri 2015
J. Alberto Soggin, Israele in epoca biblica. Istituzioni, feste, cerimonie, rituali, Claudiana 2000
Piero Stefani, La Bibbia, Il Mulino 2003

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