DANTE, SENZA PAURA – INFERNO, CANTO 33

TRAMA

 

Il dannato alza la testa, cessando per qualche momento di mordere il capo del suo nemico.

 

Poi parla:

 

“Tu vuoi che io rinnovi il mio grande dolore, che già mi opprime il cuore ancor prima che io ne parli.

 

Ma se le mie parole porteranno infamia a questo che io mordo, mi vedrai parlare e piangere nello stesso momento.

 

Non so chi tu sia, né in che modo sei arrivato quaggiù. Ma dalla parlata mi sembri fiorentino.

 

Devi sapere che io sono il CONTE UGOLINO, e questo è l’ARCIVESCOVO RUGGERI. Ora ti dirò perché siamo così vicini.

 

Non racconterò come mi abbia tradito quando mi fidavo di lui, e come mi abbia prima imprigionato e poi ucciso.

 

Ti dirò invece quello che non puoi aver sentito, e cioè quanto fu crudele la mia morte. Allora giudicherai se mi ha recato offesa.

 

 

(Gustave Courtois, Dante e Virgilio nel Cerchio dei Traditori della Patria, 1879 – Besançon, Musée des Beaux-Arts et d’Archéologie)

 

Ero rinchiuso già da molto tempo nella torre della Muda, che dopo di me venne chiamata “della fame”, e nelle quale anche altri verranno imprigionati.

 

Una notte ebbi un incubo, che mi mostrò cosa sarebbe avvenuto di lì a poco.

 

Vidi l’arcivescovo Ruggeri a capo di un gruppo di cacciatori, che andavano a stanare il lupo e i suoi cuccioli sul monte che si innalza tra Pisa e Lucca.

 

Aveva messo davanti i cani più esperti, affidandoli ai Gualandi, ai Sismondi e ai Lanfranchi.

 

Dopo una breve corsa il lupo e i lupacchiotti mi parevano già stanchi, e mi sembrò che i cani li mordessero con i loro denti aguzzi.

 

Al mattino, quando mi svegliai, udii i miei figli piangere nel sonno, implorando un tozzo di pane.

 

Avrai già capito cosa si agitava nel mio cuore, e sei crudele se non piangi per questo. E se non lo fai, per che cosa piangi di solito?

 

Si erano svegliati, spaventati dai loro sogni. Si avvicinava l’ora in cui ci portavano il cibo, ma invece di quello io sentii che la porta della torre veniva inchiodata.

 

Li guardai in viso senza parlare, senza nemmeno piangere tanto ero sconvolto.

 

Il mio Anselmuccio mi disse “Padre, che accade? Hai uno sguardo!”

 

Non piansi, e non risposi per tutto quel giorno e quella notte, finché il sole annunciò il nuovo giorno.

Quando un raggio di luce penetrò nella nostra cella io vidi sui loro quattro volti il mio stesso aspetto smagrito.

 

Per il dolore mi morsi le mani.

 

Tutti loro, pensando che lo facessi perché tormentato dalla fame, mi dissero:

 

“Padre, proveremo meno dolore se ti nutrirai di noi. Tu hai dato forma a queste carni, ora consumale.”

 

Per non rattristarli ancora di più mi calmai. Per due giorni rimanemmo in silenzio. Oh, terra crudele, perché non ti sei spalancata sotto di noi!

 

Dopo quattro giorni Gaddo si gettò disteso ai miei piedi, dicendo: “Padre, perché non mi aiuti?”

 

Subito dopo morì. E tra il quinto e il sesto giorno anche gli altri tre, ad uno ad uno, crollarono morti.

 

Ormai cieco, brancolai nel buio sopra di loro, chiamandoli per due giorni interi.

 

Poi la fame fu più forte del dolore.”

 

 

(Jean-Baptiste Carpeaux, Ugolino circondato dai suoi figli, 1857-1861 – New York, Metropolitan Museum of Art)

 

Dopo aver detto questo riprese a mordere il capo dell’altro, avventandosi sul cranio come un cane che addenta l’osso.

 

Maledetta Pisa, pensa Dante, infamia delle genti che abitano l’Italia. Poiché le altre città sono lente a punirla, che possano muoversi la Capraia e la Gorgona, e blocchino la foce dell’Arno facendo annegare tutti i suoi abitanti.

Se pure fosse vera la voce secondo cui il Conte Ugolino ti aveva tradito in quella faccenda dei castelli, non dovevi trascinare anche i suoi figli in un tale martirio.

 

Ugoccione, il Brigata e gli altri due che ha nominato sopra erano ancora giovani, e perciò innocenti.

 

Intanto, sempre guidato da Virgilio, prosegue il cammino, e giunge in un’altra zona del Cocito.

 

Qui i peccatori stanno supini, e non hanno conforto nemmeno nel pianto, poiché le lacrime si gelano appena escono dagli occhi.

 

Il freddo colpisce anche Dante, il cui volto è ormai livido. Eppure gli sembra di sentire una brezza di vento.

 

“Maestro, chi manda il vento? Quaggiù non è forse cessata ogni aria?”

 

“Tra breve vedrai con i tuoi occhi da dove nasce questo vento.”

 

Uno dei dannati grida loro:

 

“Anime tanto crudeli da finire quaggiù nell’ultimo cerchio, toglietemi il ghiaccio dagli occhi, così che possa sfogare in pianto il mio dolore prima che ritorni il gelo.”

 

“Se vuoi che ti aiuti” risponde Dante “dimmi chi sei, e prometto di darti sollievo. Possa io stesso finir conficcato nel ghiaccio se non lo farò.”

 

“Io sono Frate Alberigo, quello dell’orto che diede frutti malvagi. Qui mi danno datteri in cambio di fichi.”

“Cosa? Sei dunque già morto?” esclama Dante, che lo ha riconosciuto.

 

“Non so come stia il mio corpo lassù sulla terra.

 

Questa zona del Cocito si chiama Tolomea, e ha il potere di chiamare a sé le anime prima che sia reciso il filo della vita.

 

Affinché tu mi liberi più volentieri gli occhi dalle lacrime ghiacciate, sappi che non appena l’anima commette il tradimento che feci io, arriva un demonio a privarla del corpo. E poi se lo prende e lo tiene in vita fin quando giunge il tempo previsto per la morte.

 

L’anima intanto precipita quaggiù. E forse il corpo di quella che sta qui dietro di me si trova ancora sulla terra.

 

Tu devi saperlo, se scendi qui solo adesso. Si tratta di Branca Doria, e sono già passati molti anni da quando è arrivato.”

 

“Mi stai ingannando. Branca Doria non è ancora morto. Mangia, beve, dorme e si veste.”

 

“Michele Zanche non era ancora arrivato lassù nel fosso dei Malebranche, dove bolle la pece appiccicosa, quando lui e il suo parente che commisero tradimento giunsero qui, lasciando un diavolo nei loro corpi.

 

Ma ora stendi la mano verso di me, toglimi il ghiaccio dagli occhi.”

 

Dante però non lo fa. Essere maleducato con un simile peccatore è un atto di cortesia.

 

Ed ecco che pronuncia un’altra invettiva, questa volta diretta ai Genovesi.

 

 

COMMENTO

 

Dopo Francesca da Rimini e Ulisse, ecco un altro grande personaggio della Commedia: il CONTE UGOLINO.

 

Ma chi era, e perché fu condannato a una fine così orribile?

 

Siamo a Pisa, negli anni Ottanta del Duecento.

Pisa è una delle Repubbliche Marinare italiane, insieme a Genova, Venezia e Amalfi. Per decenni ha mandato le sue navi in tutto il Mediterraneo, ma ora il suo potere sta declinando.

E la sua grande nemica, Genova, è pronta ad approfittarne.

 

Le due città si scontrano nella battaglia navale della Meloria (1284). Pisa subisce una gravissima disfatta. Di oltre settanta navi, solo venti si salvano: quelle comandate da Ugolino della Gherardesca.

Per questo viene accusato di tradimento, ma non ci sono prove, e viene lasciato in pace. Anzi, appena un anno dopo riesce addirittura ad assumere di fatto il governo della città.

 

Pisa è da sempre ghibellina. Si rende però necessario un accordo con i Guelfi della Toscana, al fine di poter continuare la guerra con Genova. Per questo Ugolino della Gherardesca decide di cedere loro alcuni castelli.

Per consolidare il proprio potere Ugolino si allea con l’Arcivescovo Ruggeri. Ma questi, forte dell’appoggio di altre famiglie (i Gualandi, i Sismondi e i Lanfranchi citati nel Canto), lo tradisce e lo fa imprigionare, insieme a due figli e a due nipoti.

Viene costretto a pagare ingenti somme per riscattare sé e i familiari, e ben presto le risorse della famiglia si esauriscono. Così viene lasciato a morire di fame.

 

Gli altri personaggi di questo Canto richiamano invece situazioni di cui abbiamo parlato in passato.

 

Frate Alberigo fa parte della consorteria dei Frati Gaudenti, che abbiamo già incontrato (qui: https://stefanotartaglino.it/dante-senza-paura-inferno-canto-23 ).

Si trova qui perché ha ucciso a tradimento, durante un banchetto, alcuni suoi parenti per questioni di eredità.

 

Siamo nella terza delle quattro zone in cui è diviso il Cocito, la TOLOMEA.

Come spiegato dallo stesso Alberigo, qui vige una particolare legge.

Chi commette tradimento contro i propri parenti viene privato dell’anima mentre è ancora in vita. L’anima precipita nella Tolomea, mentre nel corpo – divenuto una sorta di cadavere ambulante – si insedia un diavolo che lo tiene in vita fino al momento previsto per la morte.

 

Accanto ad Alberigo troviamo l’anima di BRANCA DORIA, esponente della più nobile famiglia di Genova, che tanti grandi personaggi darà alla città nel corso dei secoli.

 

Abbiamo incontrato suo genero Michele Zanche nella bolgia di pece bollente, sorvegliata dai diavoli detti Malebranche. Come si ricorderà, fu fatto uccidere proprio da Branca Doria. (lo abbiamo visto qui: https://stefanotartaglino.it/dante-senza-paura-inferno-canto-22 )

 

Va detto che, di tutta questa vicenda, non abbiamo altri riscontri nei documenti del tempo. Dante è quindi la nostra unica fonte sull’episodio.

È stato proposto che Dante ne sia venuto a conoscenza dalla famiglia Malaspina, i suoi nobili protettori nei primi anni dell’esilio. I Malaspina erano infatti imparentati alla lontana con Michele Zanche.

 

Branca Doria è ancora vivo e vegeto (o forse più vegeto che vivo, secondo le leggi della Tolomea). Morirà infatti dopo il 1325, risultando più longevo dello stesso Dante.

 

 

FONTI:

 

Commedia vol. 1. Inferno, a cura di Natalino Sapegno, La Nuova Italia Editrice 1968

 

Inferno, Mondadori 2018, commento di Franco Nembrini, illustrazioni di Gabriele Dell’Otto

 

La Divina Commedia, a cura di Siro A. Chimenz, UTET 2003

 

 

Enrico Malato (a cura di), Dizionario della Divina Commedia, Salerno Editrice 2018 (edizione speciale per il Corriere della Sera, 2 volumi, 2021)

 

Marco Santagata, Guida all’ Inferno, Mondadori 2013

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