TRAMA
Dante è giunto nel punto più profondo non solo dell’inferno, ma di tutto il creato.
A distanza di tempo si rende conto che descrivere il luogo in cui si trovò è impresa assai difficile. Ci vuole una lingua alta, non basta quella colloquiale. Perciò invoca le Muse affinché lo assistano nell’impresa.
Non ha ancora mosso i primi passi che già sente una voce ammonirlo:
“Attento a dove cammini. Non calpestare con i piedi le teste di coloro che soffrono in questo luogo.”
A quell’avvertimento si volta e guarda in basso.
Sotto i suoi piedi si stende un lago ghiacciato, lucido e liscio come il vetro.
La calotta gelata è più spessa di quella del Danubio d’inverno, e anche di quella del Don nelle sue fredde e lontane terre.
Se una montagna vi cadesse sopra, non lo scalfirebbe nemmeno.
Come le rane che sporgono il muso dallo stagno, così le anime dei peccatori sporgono appena la testa dal ghiaccio, battendo i denti con un suono che ricorda il verso della cicogna.
Ciascuno di loro guarda verso il basso, le labbre gelate e la vergogna sul volto.
Dante osserva la distesa di anime imprigionate nel ghiaccio, e ne nota due talmente vicine che le loro teste si toccano.
“Chi siete?” domanda loro.
Entrambi alzano lo sguardo: le lacrime non più trattenute iniziano a cadere dai loro occhi, e subito si congelano.
In preda all’ira, sbattono le teste l’una contro l’altra, come fanno i caproni quando litigano.
Un terzo dannato, che aveva perduto le orecchie a causa del gelo, si rivolge con astio a Dante:
“Perché ci guardi fisso? Se vuoi sapere chi furono questi due, rammentati della valle dove scorre il fiume Bisenzio, che appartenne a loro e al loro padre Alberto.
Furono fratelli, e in tutta la Caina non troverai un’altra anima che sia più degna di loro d’esser conficcata quaggiù.
Né quello a cui Artù con un solo colpo squarciò il petto, né Focaccia. E nemmeno questo qui che mi sta davanti con la testa, impedendomi di vedere al di là, e si chiamò Sassolo Mascheroni: tu che sei toscano sai certamente chi fu.
E poiché non voglio più parlare, ti dico subito che io sono Camicione dei Pazzi; aspetto qui che venga Carlino a scagionarmi.”
Dante si guarda intorno, e vede migliaia di altri volti congelati da quel freddo estremo. Da allora avrà i brividi alla sola vista di un acquitrino ghiacciato.
Mentre cammina verso il centro del lago, tremando e rabbrividendo, colpisce per errore con un calcio in faccia una delle teste che emergono dal ghiaccio
“Perché mi calpesti?” piange l’anima “Sei forse venuto ad accrescere la vendetta di Montaperti? E se non è per questo, che ti ho fatto?”
Dante si rivolge a Virgilio:
“Maestro, concedimi un momento con costui, perché un dubbio mi tormenta. Poi potrai mettermi fretta quanto vorrai.”
Ottenuto il permesso, parla di nuovo all’anima:
“Chi sei tu che così duramente rimproveri gli altri?”
“Chi sei tu, piuttosto, che te ne vai a spasso per l’Antenora a colpire in faccia la gente?”
“Io sono vivo” gli risponde Dante “e se desideri la fama posso mettere il tuo nome nei miei scritti.”
“Desidero proprio il contrario. Vattene, e non mi disturbare più. Non sei proprio capace di farti benvolere in questo luogo.”
Dante, punto sul vivo, gli afferra la testa e gliela torce.
“Ti conviene dirmi il tuo nome, o non ti lascerò in testa neanche un capello.”
“Puoi anche strapparmi tutti i capelli, e persino saltarmi mille volte sulla testa, ma il mio nome non te lo dirò.”
Dante gli strappa qualche ciocca, e si prepara a continuare, quando un altro dannato lì vicino interviene:
“Che hai, Bocca? Non ti basta battere i denti, ora ti metti anche a gridare? Quale diavolo ti sta tormentando?”
“Adesso so chi sei, maledetto traditore. E le notizie che riporterò di te lassù nel mondo saranno ben vere.”
“Vattene, e racconta ciò che vuoi. Se mai uscirai di qui nomina anche questo qui che non ha saputo star zitto. In questo luogo sconta l’aver preso denaro dai Francesi.
E se ti domanderanno quali altri personaggi c’erano, proprio qui a lato si trova quello di Beccheria, a cui Firenze tagliò la gola.
Più in là credo che ci sia Gianni Soldanieri, insieme con Gano. E c’è anche Tebaldello, che aprì le porte di Faenza quando tutti dormivano.”
Dante si allontana, ma poco più in là si imbatte in due dannati congelati nella stessa buca, con la testa di uno sopra quella dell’altro.
Quello di sopra mordeva la testa di quello di sotto, con la stessa smania di un affamato che afferra il pane.
“Tu che in modo così bestiale mostri il tuo odio per quell’altro, dimmi il perché.
Ti prometto questo: se lo odi per una ragione giusta io racconterò ancora di voi nel mondo, se la mia lingua non si seccherà.”
COMMENTO
Siamo arrivati nel Cocito, l’inferno di ghiaccio.
Prima di proseguire diamo di nuovo un’occhiata alla mappa:
(Mappa dell’Inferno – tratta da Marco Santagata, Il racconto della Commedia. Guida al poema di Dante, Mondadori 2017 – l’indicazione in rosso è ovviamente mia)
Come si vede, il Cocito è la sede dei Traditori.
È diviso in quattro zone: CAINA – ANTENORA – TOLOMEA – GIUDECCA
Qui Dante attraversa le prime due.
La Caina è già stata nominata da Francesca come il luogo che attende il marito Gianciotto Malatesta, che aveva ucciso lei e Paolo: qui infatti vengono puniti i Traditori dei Parenti.
(ricordate? Ne abbiamo parlato QUI: https://stefanotartaglino.it/dante-senza-paura-inferno-canto-5 )
Nell’Antenora sono invece puniti i Traditori della Patria. È il luogo adatto per il dannato che fa infuriare Dante, che non avevamo mai visto così arrabbiato.
Si tratta infatti di BOCCA DEGLI ABATI.
Fiorentino di parte guelfa, combattè nella celebre battaglia di Montaperti (1260) – lo scontro che vide contrapposte Firenze guelfa e Siena ghibellina – e fu la causa della sconfitta di Firenze.
Infatti nel bel mezzo del combattimento passò al nemico, e abbatté la bandiera dei Fiorentini. Questo provocò una grave confusione nelle loro file, che si trasformò in una fuga disordinata.
Gli altri dannati con cui Dante parla sono tutti nobili di varie zone della Toscana. Alcuni tradirono i parenti per questioni di eredità, e sono appunto collocati nella Caina. Altri tradirono la propria città, a volte per soldi, e si trovano nell’Antenora.
GANO DI MAGANZA (“Ganellone” nel testo) è invece il traditore che causò la morte del paladino Orlando a Roncisvalle: un altro riferimento alla Chanson de Roland, dopo quello del Canto precedente.
Ma ecco che il poeta assiste a uno spettacolo brutale: un dannato che morde rabbiosamente la testa di un altro.
Per la prima volta il Canto non conclude la scena, ma rimanda al successivo. Un effetto di suspense molto moderno.
Ma noi sappiamo bene di chi stiamo parlando, vero?
FONTI:
Commedia vol. 1. Inferno, a cura di Natalino Sapegno, La Nuova Italia Editrice 1968
Inferno, Mondadori 2018, commento di Franco Nembrini, illustrazioni di Gabriele Dell’Otto
La Divina Commedia, a cura di Siro A. Chimenz, UTET 2003
Enrico Malato (a cura di), Dizionario della Divina Commedia, Salerno Editrice 2018 (edizione speciale per il Corriere della Sera, 2 volumi, 2021)
Marco Santagata, Guida all’ Inferno, Mondadori 2013