DANTE, SENZA PAURA – INFERNO, CANTO 31

TRAMA

 

Dante e Virgilio si lasciano alle spalle le fosse di Malebolge, e si incamminano per una nuova strada.

 

L’oscurità è quasi completa. Dalle tenebre si leva alto il suono di un corno, più potente persino del tuono.

 

Nemmeno il paladino Orlando lo suonò così forte per chiamare in soccorso il suo re Carlo Magno, quella volta in cui l’esercito cristiano fu sconfitto.

 

Dante scorge qualcosa nel buio. Sembrano delle torri, altissime e dritte.

 

“Maestro, dove siamo?” chiede a Virgilio.

 

“Sei da troppo tempo immerso nelle tenebre, e i tuoi sensi ti ingannano. Affretta il passo, e quando sarai più vicino ti renderai conto di quanto ti sei sbagliato.”

 

Poi lo prende per mano e aggiunge:

 

“Prima che proseguiamo ti spiegherò cosa stai per vedere, così che lo spettacolo ti apparirà meno strano.

 

Quelle non sono torri. Sono giganti.

 

Stanno conficcati dall’ombelico in giù in un pozzo profondissimo.”

 

Mentre si avvicina, Dante scorge meglio le sagome di quegli esseri enormi. Ha capito il proprio errore, ma adesso ha paura.

 

Con la loro statura immensa si ergono sopra il pozzo, simili alle torri che circondano il borgo di Monteriggioni.

 

 

(Le torri di Monteriggioni – foto di Stefano Tartaglino, ottobre 2020)

 

Di uno di loro, il più vicino, si possono già vedere il volto, le spalle e il petto, e le braccia distese lungo i fianchi.

 

Di certo la Natura, quando smise di creare esseri del genere, fece bene. Tolse così a Marte, dio della guerra, dei soldati molto pericolosi.

 

Ha creato invece elefanti e balene, ed è meglio così. Perché quando le capacità dell’ingegno vengono impiegate volontariamente per far del male, nessuno al mondo può far nulla per difendersi.

 

Il gigante misura almeno venticinque metri. Ha il volto lungo e grosso come la pigna di San Pietro a Roma, e le altre sue membra sono in proporzione.

Dal bordo del pozzo, che fa da cintola a quell’enorme corpo, nemmeno mettendo uno sull’altro tre abitanti della Frisia, che pure hanno fama di essere altissimi, si arriverebbe alla sua faccia.

 

Raphèl mai amecche zabì almi” inizia a gridare. A quella bocca così spaventosa non si addicono parole più dolci.

 

Ma Virgilio, ancora una volta, interviene:

 

“Sciocco, se vuoi sfogare la tua furia soffia nel corno, e fatti bastare quello. Toccati il collo, e sentirai la corda che lo tiene legato e ti pende sul petto.”

 

Poi si rivolge a Dante, e spiega:

 

“Si accusa da solo. Lui è NEMBROT, ed è a causa sua e delle sue malvagie azioni che nel mondo ci sono tante lingue diverse.

 

Lascialo perdere, gli parleresti inutilmente. Infatti lui non comprende alcuna altra lingua, e nessuno capisce la sua.”

 

 

(Hans Bol, La Torre di Babele, 1591-1600 – Belgio, Broel Museum)

 

Si incammina verso sinistra, e Dante lo segue.

Ma ecco che, alla distanza di appena un tiro di balestra, appare un secondo gigante, ancora più grande e feroce.

 

Una catena lo cinge dal collo in giù, bloccandogli il braccio sinistro davanti e il destro dietro la schiena, e gira intorno al suo corpo per cinque volte.

Chi sia stato a legarlo così, Dante non lo sa dire.

 

Virgilio, come sempre, spiega:

 

“Costui volle scatenare la sua furia contro il sommo Giove, e per questo è punito così.

 

Si chiama EFIALTE, e quando i giganti sfidarono gli Dei fu uno dei più agguerriti. Ora non può più muovere quelle braccia che tanto agitò.”

 

Dante, finalmente, si fa coraggio e dice:

 

“Se è possibile, vorrei vedere con i miei occhi quell’enorme gigante chiamato Briareo.”

 

“Qui vicino tu vedrai invece Anteo, che può parlare e non è legato. Sarà lui a depositarci sul fondo dell’inferno.

 

Quello che vuoi vedere tu si trova molto più in là, ed è legato proprio come Efialte, ma ha un volto più feroce.”

 

Efialte si scuote rabbiosamente, con più forza di un terremoto.

Dante è terrorizzato, e pensa sia arrivata la sua ora. Solo le grandi catene che trattengono il gigante gli fanno ricordare che è al sicuro.

 

Proseguendo il cammino dietro a Virgilio arriva di fronte ad Anteo, che emerge dal pozzo per più di sei metri, senza contare la testa.

 

Virgilio parla al gigante:

 

“Tu che hai catturato mille leoni in quella valle che vide la gloria di Scipione quando Annibale fu messo in fuga con il suo esercito, e che se avessi partecipato alla guerra dei tuoi fratelli contro gli Dei forse avresti dato loro la vittoria, metti noi due giù nel freddo di Cocito.

 

Non ci mandare da Tizio né da Tifone.

 

Quest’uomo ti può dare quello che qui si desidera. Perciò abbassati e non volgere lo sguardo.

 

Lui è ancora vivo, e può portare la tua fama a percorrere ancora il mondo. Lo attende una vita ancora lunga, se la Grazia di Dio non lo chiama a sé prima del tempo.”

 

Il gigante obbedisce, e con quelle mani di cui una volta persino Ercole subì la stretta prende Virgilio.

 

Il maestro, a sua volta, prende Dante, e i due formano un unico sottile fascio nella mano di Anteo.

 

A Dante l’esperienza ricorda la torre della Garisenda di Bologna, quando una nuvola ne copre la cima. Avrebbe preferito un altro modo per scendere, ma ormai è lì.

 

Anteo li posa con delicatezza sul fondo dell’inferno, dove si trovano Lucifero e Giuda, e subito si raddrizza.

 

 

COMMENTO

 

Un grande spettacolo si apre davanti agli occhi del poeta: il Pozzo dei Giganti, nel quale stanno conficcati i più famosi tra questi esseri.

 

Ancora una volta, Bibbia e mitologia greca sono fuse insieme, a formare l’affresco del luogo che divide le Malebolge dall’ultimo girone: il Cocito, l’inferno di ghiaccio.

 

Il primo gigante ad apparire è NEMBROT. Nella Bibbia (Genesi, 10, 9) era il re che, gonfio di superbia, volle far costruire una torre che arrivasse fino al cielo. Ma, ad opera già iniziata, Dio intervenne facendo in modo che i lavoratori iniziassero a parlare lingue diverse, fino a non comprendersi più: la costruzione venne così interrotta.

Il mito della Torre di Babele è uno dei più conosciuti, e dalla tradizione ebraica passò al Cristianesimo (ne abbiamo parlato qui:  https://stefanotartaglino.it/ebraismo-esilio-babilonia ).

 

Le parole pronunciate da Nembrot non hanno alcun significato, a differenza di quelle – ugualmente strane – di Plutone nel Canto Settimo (Pape Satan, pape Satan, aleppe – ricordate? Era qui: https://stefanotartaglino.it/dante-senza-paura-inferno-canto-7 ).

 

Il suono del corno di Nembrot ricorda a Dante quello di Orlando a Roncisvalle.

È, questa, una delle più celebri storie dei cavalieri, nota come Chanson de Roland.

Composta in Francia e ben nota anche in Italia, narra della disperata resistenza della retroguardia dei Franchi, assalita da un esercito ben più numeroso di Saraceni.

Orlando (Roland), il più valoroso dei paladini di Carlo Magno, tenta fino all’ultimo di combattere da solo, e troppo tardi suona il corno, detto Olifante, per chiamare in suo soccorso il sovrano.

Divenuta ben presto famosa come alto esempio di virtù cristiane, la leggenda nasconde una realtà assai più prosaica.

Carlo Magno aveva attraversato i Pirenei ed era passato in Spagna a combattere gli Arabi, che a quell’epoca dominavano quasi tutta la penisola iberica. Vinse facilmente alcune battaglie, ma problemi all’altro capo del suo regno lo costrinsero a tornare indietro.

Quando il grosso dell’esercito aveva già passato le montagne la sua retroguardia fu però attaccata.

E non dagli Arabi.

Si trattò invece di predoni baschi, che controllavano i passi e conoscevano bene il territorio. Semplici montanari, che si davano alle razzie per integrare quel poco che ricavavano dai campi e dalle greggi.

Fu una sconfitta umiliante, e per evitare che si sapesse troppo in giro fu inventata la storia di Orlando.

 

 

(Gustave Doré, Orlando a Roncisvalle – Parigi, collezione privata)

 

Il secondo gigante ad apparire è EFIALTE.

Il mito richiamato attraverso la sua figura è quello della Gigantomachia.

Giove e gli Dei dell’Olimpo avevano da poco stabilito il proprio potere sull’Universo, sconfiggendo la precedente generazione divina, quella dei Titani.

Ma i Giganti, figli della Terra, tentarono la scalata all’Olimpo. Molti furono fulminati da Giove, altri sconfitti dagli Dei. Un ruolo cruciale per la vittoria degli Olimpici fu giocato da Ercole, che ne uccise parecchi.

 

 

(Apollo abbatte il gigante Efialte – particolare del fregio dell’Altare di Pergamo – Berlino, Pergamonmuseum – immagine tratta da Wikipedia)

 

Dante nomina poi il gigante BRIAREO, che vorrebbe vedere, ma purtroppo non c’è tempo.

Peccato, perché sarebbe stato uno spettacolo notevole. Briareo ha infatti cento braccia.

 

Infine ecco ANTEO, il gigante che deposita i due pellegrini in fondo al pozzo.

La sua terra natia era in Nord Africa, vicino a Zama (dove Scipione sconfisse Annibale, come ricordato da Dante). Da essa traeva sempre nuove forze, risultando di fatto invincibile. Fu infine sconfitto da Ercole, che lo sollevò in alto, impedendogli di toccare il suolo.

Poiché, come detto nel testo, non partecipò alla guerra contro gli Dei, non è legato come gli altri al bordo del pozzo.

 

Virgilio gli dice che, se li aiuterà a scendere, Dante si sdebiterà continuando a parlare di lui nel mondo, alimentando la sua fama.

 

 

 

(Ercole affronta il gigante Anteo – Cratere attico a calice a figure rosse attribuito a Euphronios,  515/510 a.C. – Louvre – immagine di pubblico dominio liberamente tratta dal sito del Louvre https://collections.louvre.fr/en/ark:/53355/cl010269994 )

 

 

FONTI:

 

Commedia vol. 1. Inferno, a cura di Natalino Sapegno, La Nuova Italia Editrice 1968

 

Inferno, Mondadori 2018, commento di Franco Nembrini, illustrazioni di Gabriele Dell’Otto

 

La Divina Commedia, a cura di Siro A. Chimenz, UTET 2003

 

 

Enrico Malato (a cura di), Dizionario della Divina Commedia, Salerno Editrice 2018 (edizione speciale per il Corriere della Sera, 2 volumi, 2021)

 

Marco Santagata, Guida all’ Inferno, Mondadori 2013

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