DANTE, SENZA PAURA – INFERNO, CANTO 30

TRAMA

 

Mentre sta ancora parlando con Capocchio, Dante vede due anime arrivare di corsa, eccitate e arrabbiate come il maiale quando viene liberato dal porcile.

 

Una delle due si avventa su Capocchio, mordendolo al collo.

 

Assistendo alla scena, il peccatore di Arezzo (con cui Dante aveva parlato prima), commenta:

 

“Quello è GIANNI SCHICCHI, e corre per questa Bolgia aggredendo chiunque.”

 

 

(William Adolphe Bouguereau, Dante e Virgilio, 1850 – Parigi, Musée d’Orsay)

 

E Dante, di rimando:

 

“Se l’altra anima non vuole anch’essa mordere, dimmi chi è, prima che scompaia alla vista.”

 

“Quella è l’anima di Mirra, una donna del mito antico. Andò contro la legge di natura, e volle compiere incesto con il proprio padre. Per compiere quest’atto scellerato si travestì, in modo da non essere riconosciuta.

 

Anche Gianni Schicchi si travestì, fingendo di essere Buoso Donati e poter così mettere le mani su una cavalla di grande valore, la più bella di un branco.”

 

Le due anime rabbiose se ne vanno, e Dante continua a osservare gli altri dannati.

Ne vede uno con il ventre tanto gonfio da sembrare un liuto con le gambe.

 

Pare soffrire di idropisia, la malattia causata da un abnorme accumulo di liquido nel corpo, tanto grave da renderlo deforme. Tiene le labbra aperte, come fanno i tisici tormentati dalla sete.

 

“Voi che siete qui all’inferno senza patire alcuna pena, e io non so perché, guardate bene la mia sorte.

 

Sono Adamo de Anglia. Da vivo ebbi molto di quel che desideravo, mentre ora, ahimé, bramo una goccia d’acqua!

 

Ho sempre davanti agli occhi l’immagine dei ruscelli che scendono dal Casentino per gettarsi nell’Arno, formando canali pieni d’acqua fredda.

 

Così ha voluto la giustizia inflessibile che mi ha condannato. Poiché è a causa di questo che il mio volto è sempre più secco.

 

Per farmi soffrire ancora di più ha scelto la visione del luogo nel quale compii i miei peccati.

 

Lì infatti si trova Romena, dove ho falsificato le monete con l’immagine di San Giovanni Battista. Ed è per questo che sono stato mandato al rogo.

 

Ah, se potessi incontrare qui l’anima di Guido, di Alessandro o del loro fratello! Non rinuncerei a questo piacere nemmeno in cambio di tutta la Fonte Branda.

 

Dentro questa Bolgia, stando a quel che dicono quelle anime arrabbiate, c’è già uno di loro. Ma come posso incontrarlo, se il mio corpo è così bloccato?

Se potessi muovermi anche solo di un’oncia in cento anni sarei già in cammino per cercarlo. Non mi fermerei pur sapendo che la circonferenza di questa Bolgia è di undici miglia di lunghezza, ed è larga almeno mezzo miglio.

 

È a causa loro che mi trovo tra questi dannati. Mi fecero coniare fiorini che avevano tre carati di scarti.”

 

Dante gli chiede:

 

“Chi sono quei due che giacciono lì alla tua destra, i cui corpi fumano come le mani bagnate in inverno?”

 

“Li ho trovati già così quando sono stato sprofondato in questa fossa. Da allora non si sono mai mossi, e credo che rimarranno così per sempre.

 

Quella è la donna che falsamente accusò Giuseppe.

L’altro invece è SINONE, il greco bugiardo che condannò Troia.

La febbre che li tormenta produce questa gran puzza di bruciato.”

 

Sinone, forse adirato per essere stato nominato in modo così infamante, sferra un pugno sull’enorme pancia di Adamo de Anglia.

 

Ne esce un suono come di un tamburo che viene battuto. Adamo, a sua volta, tira un pugno in faccia a Sinone.

 

“Anche se non posso camminare, le braccia mi funzionano!” gli grida.

 

“Quando sei salito sul rogo non ce le avevi così leste!” lo canzona di rimando Sinone “Invece quando falsificavi monete erano ancora più veloci!” lo accusa poi.

 

“Adesso dici la verità” ribatte Adamo “Ma non l’hai detta quando ti è stata chiesta.”

 

“Io ho detto il falso una volta sola, e sono finito qui. Tu invece di monete nei hai falsificate tante!”

 

“Spergiuro! Ricordati del Cavallo di Troia, e ti sia di tormento che tutto il mondo conosce il tuo peccato!”

 

“E che tu invece sia tormentato dalla sete che ti secca la lingua, e dall’acqua marcia che ti gonfia la pancia!”

 

“Io sono afflitto dalla sete, ma tu soffri per la febbre che ti martella il capo! Se ti venisse data un po’ d’acqua non sprecheresti molte parole.”

 

Dante sta perdendo tempo a osservare il litigio, e Virgilio lo rimprovera.

 

“Continua pure a startene lì impalato! Guarda che mi sto per arrabbiare!”

 

A quelle parole Dante prova una tremenda vergogna, e si profonde in scuse.

 

“Ti perdono, e ricorda che sarò sempre al tuo fianco. Ma sappi che voler stare a guardare due che litigano come questi è un desiderio di bassa lega.”

 

 

COMMENTO

 

Un altro Canto dove si mescolano personaggi storici, seppur del tutto secondari, e figure del mito greco. C’è anche un riferimento alla Bibbia.

 

Il dannato che morde al collo l’incolpevole Capocchio è GIANNI SCHICCHI.

Era parente di Guido Cavalcanti, il migliore amico di Dante. Proprio come viene detto in questi versi, si fece passare per Buoso Donati, personaggio di spicco nella Firenze del tempo che era morto da poco senza lasciare disposizioni, e produsse un falso testamento in modo da farsi assegnare un cavallo di notevole pregio.

 

La donna chiamata Mirra è un personaggio minore della mitologia greca. La sua storia è già raccontata nei versi.

L’incesto era un crimine anche per i Greci, perché andava contro le leggi di natura: solo gli Dei, infatti, potevano praticarlo (e le storie degli Dei dell’Olimpo sono piene di rapporti di questo tipo).

 

Il peccatore con la pancia gonfia è Adamo de Anglia.

Era al servizio dei conti Guidi di Romena, una delle grandi famiglie nobili della Toscana.

A Firenze ricoprì la carica di sovrintendente della zecca, e fu condannato al rogo per aver falsificato il fiorino (la moneta di Firenze, che recava impressa su un lato l’effige di Giovanni Battista e sull’altro il giglio, simbolo della città). Per legge il fiorino doveva essere composto da 24 carati d’oro, ma lui ne sostituì 3 con metallo di poco valore.

Per difendersi dalle prevedibili accuse di Dante-personaggio, la sua anima punta il dito proprio contro alcuni membri della famiglia Guidi: sarebbero loro i veri falsari, e lui un semplice esecutore dei loro ordini.

 

I conti Guidi erano esponenti del partito ghibellino. E, tra l’altro, protessero Dante nei primi tempi dell’esilio.

Perché, allora, il poeta li accusa di un crimine tale da meritare l’inferno?

La risposta va ricercata nel continuo mutare di alleanze politiche.

Alessandro Guidi e suo fratello – Aghinolfo, non chiamato per nome nel Canto – combatterono al fianco dei Bianchi, fuggiti da Firenze a seguito della presa del potere da parte dei Neri.

Dante, che era di parte Bianca, collaborò con loro, e fu ospite nelle residenze di famiglia.

Ma quando sembrò possibile un riavvicinamento al nuovo governo di Firenze, controllato dai Neri, Dante non esitò ad abbandonare gli antichi alleati. Naturalmente, come sappiamo, il tentativo di riappacificazione non funzionò, e dovette cercarsi nuovi protettori.

 

Accanto ad Adamo de Anglia stanno altri due peccatori.

 

La prima è una donna, personaggio biblico. La storia è quella di Giuseppe, figlio di Giacobbe. Venduto schiavo dai propri fratelli, finì in Egitto, ed entrò al servizio di Putifarre, funzionario del Faraone. La moglie di Putifarre si invaghì di Giuseppe, e tentò più volte di sedurlo. Respinta, lo accusò presso il marito, che fece gettare Giuseppe in prigione. Fu poi liberato per intervento del Faraone grazie alla sua capacità di interpretare i sogni.

 

 

(Orazio Gentileschi, Giuseppe e la moglie di Putifarre, 1630 – Castello di Windsor, Collezioni Reali)

 

Il secondo è SINONE, personaggio dell’Eneide. Compare nel secondo libro del poema, in cui si narra della caduta di Troia: è Enea stesso a rievocare quei momenti, raccontandoli a Didone, la regina di Cartagine, che lo aveva accolto nel suo peregrinare.

Dopo dieci anni di guerra gli Achei avevano finto di ritirarsi, lasciando di fronte alla città il famoso Cavallo. Per meglio tessere l’inganno lasciarono anche uno di loro, Sinone appunto, che finse di essere fuggito dal campo acheo e con discorsi fasulli convinse i Troiani a portare il Cavallo dentro le mura. Il suo racconto menzognero fu confermato dalla fine occorsa a Laocoonte, sacerdote di Nettuno, che tentò di mettere in guardia i Troiani riguardo al Cavallo e venne strangolato insieme ai figli da due serpenti usciti dal mare, mandati dagli Dei.

 

 

FONTI:

 

Commedia vol. 1. Inferno, a cura di Natalino Sapegno, La Nuova Italia Editrice 1968

 

Inferno, Mondadori 2018, commento di Franco Nembrini, illustrazioni di Gabriele Dell’Otto

 

La Divina Commedia, a cura di Siro A. Chimenz, UTET 2003

 

 

Enrico Malato (a cura di), Dizionario della Divina Commedia, Salerno Editrice 2018 (edizione speciale per il Corriere della Sera, 2 volumi, 2021)

 

Marco Santagata, Guida all’ Inferno, Mondadori 2013

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