DANTE, SENZA PAURA – INFERNO, CANTO 28

TRAMA

 

L’orrore che si svela agli occhi di Dante nella Nona Bolgia è superiore a quello che si avrebbe se si potessero mettere insieme i mutilati e gli uccisi di molte battaglie.

 

Subito gli si para davanti un dannato dal corpo squarciato. Uno spaventoso taglio lo divide in due dal mento fino ai fianchi, facendo fuoriuscire le budella.

 

Accortosi che Dante lo sta osservando, il dannato si apre il petto con le mani, mostrando gli organi interni.

 

“Guarda!” grida “Guarda in che stato è ridotto Maometto!

 

E qui davanti a me, piangendo, si trascina Alì, che ha il cranio spaccato a metà.

 

Tutti quelli che tu vedi qui furono, da vivi, fomentatori di discordie e divisioni, e per questo sono puniti così.

 

Là dietro c’è un diavolo che di continuo, non appena abbiamo percorso un giro completo, si avventa su di noi con la spada. Infatti le ferite si richiudono prima che ripassiamo di fronte a lui.

 

Ma tu chi sei? Perché perdi tempo lì sul ponte, invece di sottometterti alla pena che è stata decisa per i tuoi crimini?”

A rispondere è Virgilio:

 

“La morte non l’ha ancora toccato, e non è una colpa a portarlo quaggiù.

 

Deve fare un’esperienza completa di ogni girone dell’inferno, e per questo io, che sono già morto, lo guido per questa via. Questo è vero come il fatto che ti sto parlando.”

 

Udendo queste parole, più di cento dannati si fermano a rimirare lo spettacolo di un vivo in mezzo ai morti, dimenticando i propri tormenti.

 

“Tu che forse tra poco rivedrai il sole, va’ a dire a Fra’ Dolcino che, se non vuole venire presto a farmi compagnia qui sotto, deve prepararsi bene ad affrontare l’inverno. Se non farà così, la neve porterà la vittoria a quelli di Novara, che altrimenti peneranno molto per ottenerla.”

 

Pronunciate queste parole, Maometto si allontana.

 

Ma subito sopraggiunge un altro dannato. Ha il collo squarciato, un solo orecchio e il naso mozzato.

 

“Tu che non sei piegato dalla colpa, già ti ho visto sulla terra d’Italia, se non mi confondo con qualcuno che ti somiglia. Se mai tornerai a rivedere la pianura del Po, ricordati di me, che son Piero da Medicina.

 

Se poi la visione del futuro che abbiamo qui non è sbagliata, fa’ sapere a Guido e ad Agnolello, i due nobili signori di Fano, che saranno assassinati vicino a Cattolica da un malvagio tiranno.

 

Si tratta di quello con un occhio solo, e governa la terra che uno dei miei compagni, qui, vorrebbe non aver mai visto. Chiederà loro di venire a parlamentare con lui, ma non li lascerà andar via vivi.”

Dante risponde:

 

“Se vuoi che riporti il tuo nome su nel mondo, fammi ben vedere chi è il tuo compagno.”

 

Il dannato afferra quello vicino a lui per la mascella, aprendogli a forza la bocca.

 

“È lui, ma non può parlare. Si tratta di colui che convinse Cesare a scatenare la guerra civile, sostenendo che chi è preparato alla lotta non deve indugiare.”

 

Dante, che ben conosce questo personaggio, si sorprende di vederlo con la lingua mozzata, proprio lui che fu così prodigo di consigli.

 

Un altro dannato si avvicina. Ha perso entrambe le mani, e leva in aria i moncherini insaguinati.

 

“Ricordati anche di me, il Mosca, che dissi Cosa fatta capo ha, e fui l’origine di tante discordie in Toscana”

 

“E per colpa tua la tua stessa famiglia è stata distrutta” gli rinfaccia Dante.

 

Il dannato accusa il colpo, e se ne va caricato di un ulteriore dolore.

 

Tra la folla delle anime Dante ne scorge poi una alla cui vista rimane sbigottito.

 

È un corpo che cammina, senza testa. La tiene in mano, davanti a sé, come se fosse una lanterna.

 

Sono due esseri in uno, e uno in due, così come ha deciso Dio che tutto può.

Quando giunge proprio sotto il ponte alza il braccio che regge la testa, e dalla bocca escono queste parole:

 

“Tu che, ancor vivo, vieni ad osservare i morti, dì se hai mai visto una pena più grande di questa.

 

Desidero che tu porti nel mondo il mio ricordo, e perciò ti dirò il mio nome.

 

Sono Bertran de Born, e diedi cattivi consigli a un re ancora giovane.

 

Misi perfino il padre contro il figlio, proprio come Achitofel fece con re Davide e Assalonne.

 

Poiché ho portato discordia tra due persone prima così unite, ora porto in giro la mia testa separata dal corpo. Ecco come si applica in me la legge del contrappasso.”

 

 

(Bertran de Born – illustrazione di William Blake, 1825 – 27)

 

 

COMMENTO

 

Un altro Canto di non facile interpretazione, affollato di riferimenti e con molti personaggi, alcuni importanti e altri decisamente minori.

 

Come abbiamo già visto altrove, si tratta di nomi ben noti all’epoca, ma che oggi dicono poco o nulla ad un lettore non specializzato.

Cominciamo dall’introduzione.

 

Siamo nella NONA BOLGIA, quella dei SEMINATORI DI DISCORDIA.

Per descrivere la visione dei corpi orrendamente mutilati, Dante rievoca alcune celebri battaglie combattute nel Meridione d’Italia decenni o addirittura secoli prima.

 

Si comincia con le Guerre Sannitiche, i lunghi conflitti che opposero Roma alle popolazioni indigene della Campania. Siamo nel Quarto Secolo avanti Cristo. I “Troiani” sono i Romani, chiamati così perché appunto discendenti dei Troiani stessi per mezzo di Enea.

 

Si parla poi della Seconda Guerra Punica (Terzo Secolo avanti Cristo). Livio, il celebre storico latino, racconta che alla battaglia di Canne – teatro, com’è noto, di una grave disfatta dei Romani contro Annibale – i Cartaginesi saccheggiando i corpi dei Romani uccisi riempirono un enorme vaso con i loro anelli d’oro.

 

Si continua ricordando l’instaurarsi, in Italia Meridionale, del potere dei Normanni (Undicesimo Secolo), con il loro grande condottiero Roberto il Guiscardo, della dinastia degli Altavilla.

 

Si passa poi alla battaglia di Benevento (1266), nella quale Manfredi, figlio dell’imperatore Federico II di Svevia, venne sconfitto e ucciso dal francese Carlo d’Angiò. Dante suppone che la sconfitta di Manfredi sia stata dovuta al tradimento di alcuni suoi nobili.

Con la successiva battaglia di Tagliacozzo (1268) la dinastia francese degli Angioini consolidò il suo potere in Italia Meridionale e Sicilia.

 

Inizia poi la sfilata dei dannati.

 

Il primo è nientemeno che Maometto, il fondatore dell’Islam.

Più propriamente, oggi, dovremmo chiamarlo con il suo vero nome arabo: Muhammad. L’italiano “Maometto” deriva infatti dal turco “Mehmet”.

 

Perché si trova proprio qui, tra i Seminatori di Discordia?

Bisogna sapere che, all’epoca di Dante, l’Islam non era considerato una religione del tutto diversa dal Cristianesimo, ma  “solo” una sua eresia. Si pensava che Muhammad fosse stato un alto prelato della Chiesa, e che avesse cercato di diventare Papa. Non riuscendovi, per vendetta avrebbe dato origine a uno scisma, distaccandosi dal Cristianesimo cattolico romano.

 

Oggi, naturalmente, sappiamo che l’Islam è una religione autonoma, che ha preso molti concetti sia dal Cristianesimo che dall’Ebraismo.

 

Dopo Muhammad viene Alì, al contempo suo cugino e suo genero, avendone sposato la figlia Fatima.

Dopo la morte di Muhammad, Alì avrebbe voluto diventare “califfo” (ovvero successore), ma il gruppo dirigente della nuova religione decise diversamente. Frustato nelle sue ambizioni – anche se poi, anni dopo, riuscì ugualmente a salire al potere – Alì scatenò una guerra civile, che spaccò in due l’Islam appena nato.

 

Questa divisione perdura ancora oggi. Naturalmente all’originaria presa di posizione politica si è aggiunta, nei secoli, anche una profonda differenza religiosa.

Coloro che appoggiarono Alì sono definiti SCIITI (da “shia”, ovvero “parte, partito”), e rappresentano la corrente minoritaria dell’Islam (circa il 20%, ma maggioranza ad esempio in Iran, unico Paese islamico in cui lo Sciismo è religione di Stato) e sono a loro volta divisi in numerose correnti di pensiero.

Invece coloro che seguirono le decisioni del gruppo dirigente sono definiti SUNNITI (da “Sunna”, ovvero “tradizione”). Oggi sono la maggioranza nell’Islam, circa l’80%.

 

Ma torniamo all’inferno.

 

Nel congedarsi da Dante, Maometto ricorda la vicenda di FRA’ DOLCINO.

Fu il capo di un’eresia diffusasi nella seconda metà del Duecento. I suoi seguaci, chiamati Apostolici, teorizzavano il ritorno a una Chiesa povera che si ponesse a fianco degli umili. Furono attivi soprattutto tra Piemonte e Lombardia. Per schiacciarli il Papa Clemente V bandì una vera e propria Crociata.

All’inizio i Dolciniani ebbero il sostegno delle popolazioni locali, ma nell’inverno del 1307, in cerca di rifornimenti per resistere, furono costretti a requisizioni forzate, perdendo anche quell’ultimo appoggio. Sconfitti, vennero condannati tutti al rogo, e Dolcino fu prima mutilato.

 

 

(Fra Dolcino, litografia di Michel Doyen – immagine tratta da Wikipedia)

 

 

Tra gli altri personaggi, ricordiamo:

 

Scribonio Curione è il dannato che non parla, a cui viene aperta la bocca. Ufficiale di Giulio Cesare, lo avrebbe convinto a passare il Rubicone (il momento in cui il condottiero pronunciò la famosa frase “Il dado è tratto”), dando inizio così alla guerra civile. Il fiume Rubicone, in Italia centrale, rappresentava all’epoca il confine sacro di Roma, oltre il quale era proibito entrare in armi.

 

Mosca dei Lamberti è il dannato a cui sono state mozzate entrambe le mani. Pronuncia una frase divenuta oggi proverbiale: Cosa fatta capo ha. Fu un famoso politico nella Firenze della prima metà del Duecento. Dante ha chiesto notizie di lui a Ciacco, nel Canto Sesto.

 

E infine BERTRAN DE BORN.

Fu un condottiero francese (1140 – 1215), duca di Aquitania, che tra una battaglia trovò anche il tempo per comporre poesie, e non poche. È infatti annoverato tra i trovatori provenzali. Feudatario del re d’Inghilterra Enrico II Plantageneto, spinse il figlio di questi a ribellarsi al padre.

 

 

FONTI:

 

Commedia vol. 1. Inferno, a cura di Natalino Sapegno, La Nuova Italia Editrice 1968

 

Inferno, Mondadori 2018, commento di Franco Nembrini, illustrazioni di Gabriele Dell’Otto

 

La Divina Commedia, a cura di Siro A. Chimenz, UTET 2003

 

 

Enrico Malato (a cura di), Dizionario della Divina Commedia, Salerno Editrice 2018 (edizione speciale per il Corriere della Sera, 2 volumi, 2021)

 

Marco Santagata, Guida all’ Inferno, Mondadori 2013

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