INTRODUZIONE
La prima cosa da dire sul rapporto tra Dante e Ulisse è questa.
Dante-poeta si rende perfettamente conto di aver scelto, come personaggio da mettere in scena, uno dei massimi eroi del mito, uno spirito nobile dell’antichità.
Al cospetto della tradizione classica sa benissimo di essere ancora implume. E questo nonostante lo scatto d’orgoglio provato nel “nobile castello degli spiriti magni”, quando si sentì << sesto tra cotanto senno >> (ricordate? Ne abbiamo parlato qui: https://stefanotartaglino.it/dante-senza-paura-inferno-canto-4 ).
Per questo preferisce che sia Virgilio a parlare con Ulisse.
Il maestro dice a Dante-personaggio che è meglio se lascia a lui il dialogo con l’anima dell’eroe.
Dante-personaggio desidera conoscere Ulisse e la sua storia, e così anche Virgilio. Ma la curiosità che entrambi provano verso di lui non è ricambiata.
Alla domanda di Virgilio, Ulisse risponde raccontando brevemente la sua storia e poi se ne va, seguito da Diomede, al quale è eternamente legato e che è rimasto sempre in silenzio.
Ma perché Ulisse è condannato all’inferno?
E perché proprio in questa Bolgia, dove sono puniti i CONSIGLIERI FRAUDOLENTI ?
1 di 7 – SUPERBIA DI ULISSE: SI O NO?
Gli studiosi di Dante dibattono su un fatto riguardo a Ulisse. Si chiedono se al peccato per cui è condannato nell’Ottava Bolgia vada aggiunta anche la superbia, l’aver voluto tentare un’impresa folle (“il folle volo”), oltre la ragione umana, oltre i limiti imposti da Dio agli uomini.
Dante, in realtà, non parla mai della superbia di Ulisse.
Si sofferma invece sugli episodi nei quali Ulisse diede, secondo lui, un consiglio fraudolento.
Il Cavallo di Troia, naturalmente. Il furto del Palladio, l’effige divina che proteggeva la città, compiuto insieme a Diomede. E l’aver scoperto il nascondiglio di Achille, che la madre, la ninfa Teti, aveva travestito da donna affinché non partisse per la guerra.
(Tiepolo, Costruzione del Cavallo di Troia, 1760 – Londra, National Gallery)
Abbiamo detto “secondo lui”.
Dante infatti conosceva le storie di Ulisse solo attraverso gli accenni nell’Eneide di Virgilio, oltre che nelle Metamorfosi di Ovidio, altra opera che gli era ben nota e che costituiva per lui una sorta di “Bignami”.
Non lesse mai per intero né l’Iliade né l’Odissea, perché non poteva.
I due poemi di Omero erano infatti quasi del tutto sconosciuti ai suoi tempi, oltre al fatto che nell’Europa occidentale quasi nessuno sapeva il greco.
Esistevano solo compendi e riassunti, che Dante può aver letto ma che certo non bastavano a dargli un’idea chiara dei personaggi e delle vicende.
Di certo però conosceva bene il commento all’Eneide del celebre grammatico latino Servio, nel quale può aver trovato qualche indicazione su Ulisse.
Dei tre episodi citati sopra, quello del Cavallo di Troia è stato in realtà utile e rispondente al disegno della Divina Provvidenza.
Infatti Enea, fuggito dalla città distrutta, approda nel Lazio, dove la sua stirpe darà origine a Roma.
E, per Dante, l’Impero Romano era necessario per preparare il mondo all’avvento di Cristo, unificandolo con una stessa lingua e una stessa legge.
Se si guarda la cosa dall’esterno sembra indubbio che Ulisse abbia peccato di superbia.
Ma se la si guarda dall’interno, dal punto di vista di Ulisse, il peccato non c’è: o perlomeno non fu commesso con intenzione.
È questo che lo salva dall’essere sprofondato nel punto più buio dell’inferno, accanto a Lucifero, massimo esempio di superbia.
Perché tutti coloro che di superbia si macchiarono lo fecero consapevolmente, scelsero proprio di comportarsi così.
2 di 7 – DANTE, ATTENTO !
Per Dante-poeta il “folle volo” di Ulisse è anche un monito per sé stesso, per evitare di compiere il medesimo peccato.
Sa benissimo che le proprie superiori facoltà d’ingegno e d’intelletto rischiano di portare anche lui a superare i limiti stabiliti da Dio, e si sforza di trattenersi.
Ulisse potrà a malapena scorgere la montagna del Purgatorio, prima di venire colpito a morte per volere di Dio.
Dante invece ci salirà, sempre per volere di Dio.
È significativo che, sia qui sia al termine del primo Canto del Purgatorio, Dante-poeta usi la medesima espressione: << come altrui piacque >>.
Perché dunque Ulisse non è stato ammesso al Purgatorio e Dante sì?
La risposta più banale, ma sbagliata, è che Ulisse era un pagano, mentre Dante è cristiano.
Bisogna invece riferirsi alla Grazia di Dio.
Negandola a Ulisse, Dio lo qualifica come peccatore.
Concedendola a Dante, Dio lo qualifica come uomo virtuoso.
Anche Enea, del resto, era pagano. Ma, come abbiamo detto sopra, lui rientrava nel progetto di Dio.
Ulisse ha peccato di eccesso di conoscenza.
Il desiderio di conoscere, in sé, non è affatto un male, anzi è una virtù, oltre che la caratteristica più tipica dell’essere umano.
Ancora una volta, il peccato sta nell’eccesso.
Ulisse non è superbo come Lucifero, non sfida Dio consapevolmente.
Ma la sua impresa rischia di sconvolgere l’ordine dell’universo.
Per questo Dio deve intervenire, per ristabilire l’armonia.
Certo, Ulisse ha superato le Colonne d’Ercole, il limite estremo del mondo conosciuto.
Ma solo un cristiano poteva intuire che Ercole agiva come strumento di Dio. Ulisse non poteva saperlo.
Spesso si dice che Dante, quando incontra dei personaggi pagani che gli stanno simpatici, non li mette all’inferno.
E quando proprio non può farne a meno, come nel caso di Ulisse, si vede che gli dispiace.
Questo è indubbiamente vero per Virgilio e per gli altri grandi poeti, posti nel “nobile castello degli spiriti magni”, collocato al di fuori dell’inferno vero e proprio.
Sarà vero per Catone di Utica, che incontreremo all’ingresso del Purgatorio.
E sarà vero per l’imperatore Traiano, che si trova addirittura in Paradiso.
Ma sono eccezioni che confermano la regola.
3 di 7 – IL RACCONTO DELL’ULTIMO VIAGGIO
Ulisse non si dilunga nel suo racconto. Usa poche parole, essenziali. E non esalta sé stesso.
Non è, non può essere un eroe romantico, in lotta contro gli spiriti della Natura, sicuro di sé e della sua forza, pronto alla sfida: è ancora troppo presto.
Si sofferma invece sulla descrizione del nuovo mondo che gli si svela a mano a mano che la nave procede.
Il vento che la spinge a sud-ovest. L’apparizione nel cielo notturno di stelle sconosciute, mentre quelle note rimangono nascoste sotto l’orizzonte. La luna piena che sorge e tramonta per cinque volte, scandendo il ritmo del viaggio. E infine la montagna che si rivela tra le nubi, ultima visione prima che la tempesta si scateni.
Riguardo il breve discorso che Ulisse rivolge ai suoi compagni (“l’orazion picciola”) gli studiosi moderni hanno notato una cosa interessante.
Il discorso non fu pronunciato per convincerli a superare le Colonne d’Ercole, ma dopo.
A quel punto la scelta era se proseguire verso nord, tenendosi in vista della costa, o gettarsi in un mare completamente sconosciuto, vastissimo, privo di qualsiasi punto di riferimento.
Con quel discorso Ulisse convince i compagni a seguirlo nell’impresa a cui, dentro di sé, si era già votato: sfidare l’oceano immenso e ignoto.
(Monumento alle Colonne d’Ercole – Ceuta, Spagna)
4 di 7 – ULISSE DALL’ANTICHITÀ A DANTE
Il destino di Ulisse non è quello di navigare eternamente.
È, invece, quello di voler conoscere ogni cosa.
Non è solo un desiderio, è una necessità.
Contro questo impulso non valgono nemmeno i legami familiari: il figlio Telemaco, la moglie Penelope, il vecchio padre Laerte. Con loro, pur tanto amati, Ulisse non può restare.
Questa, a ben guardare, NON È l’immagine di Ulisse che ci viene dall’Odissea.
Nel poema di Omero Ulisse non è l’eroe della conoscenza, ma del RITORNO.
Il sentimento preponderante in lui è la NOSTALGIA, parola formata dai termini greci nostos (appunto “ritorno”) e algos (che vuol dire “dolore”).
Nella tradizione antica Ulisse desidera prima di tutto tornare a casa, a Itaca.
La sua curiosità, che lo porta ad esempio a voler penetrare nell’antro del ciclope Polifemo o a esporsi, pur con i dovuti accorgimenti, al canto delle Sirene, è un tratto del suo carattere, ma non l’unico e certamente non quello dominante.
Anche la celeberrima frase Fatti non foste a viver come bruti, ma per seguir virtute e conoscenza NON È un’esortazione all’umanità intera, e non va intesa in senso ideologico, come spesso succede.
Farlo significherebbe commettere un errore molto grave, e purtroppo molto comune.
Ovvero guardare ai personaggi del passato – letterari o storici che siano – con gli occhi, la sensibilità e la morale di oggi.
Ulisse la pronuncia rivolta solo ai suoi compagni, per convincerli ad accompagnarlo nel viaggio. È un discorso breve, un’ “orazion picciola”, ma tanto basta.
(testa di Ulisse – scultura appartenente al Gruppo di Polifemo, dalla villa dell’imperatore Tiberio – Sperlonga (LT), Museo Archeologico Nazionale)
Da dove, allora, Dante deriva l’immagine del “suo” Ulisse?
Ulisse aveva molte facce. Già nel primo verso dell’Odissea è definito polytropos, termine complesso che si potrebbe tradurre con “multiforme”.
L’aggiunta della frode Dante la prese dall’Eneide, dove Ulisse è definito “inventore di menzogne” (scelerum inventor – 2, 164) e “costruttore di discorsi” (fandi fictor – 9, 602).
Un altro autore latino che Dante conosceva bene era Cicerone. Il celebre oratore e uomo politico romano ebbe tra i propri maestri un filosofo oggi poco noto persino agli studiosi.
Costui si chiamava ANTIOCO DI ASCALONA. E sosteneva, almeno a giudicare dal passo di Cicerone in cui viene citato, che Ulisse si volle esporre al rischio di udire il canto della Sirene perché promettevano la conoscenza.
Cicerone, nel citarlo, usa proprio la parola “ardore”, che anche Dante riprenderà e farà pronunciare a Ulisse (L’ardore / che io ebbi a divenir del mondo esperto / e degli vizi umani e del valore).
Antioco di Ascalona ha dunque inagurato il tema della conoscenza in Ulisse.
Ma il valore della conoscenza per l’essere umano era cosa già ben nota al più grande di tutti i filosofi antichi: Aristotele.
Aristotele, all’inizio della sua opera Metafisica, dice che gli esseri umani sono portati per natura alla conoscenza.
E Dante, in apertura del Convivio, cita proprio questo passo del filosofo greco.
5 di 7 – COME DANTE CREÒ IL “SUO” ULISSE
L’Ulisse caratterizzato dal desiderio di sapere non è dunque un’invenzione di Dante.
Un altro testo antico che Dante potrebbe aver letto è un passo di Seneca (Lettere a Lucilio 88, 7-8), in cui si accenna a ulteriori viaggi di Ulisse dopo il ritorno a Itaca.
Dante, lo abbiamo letto all’inizio, non conosceva direttamente l’Odissea. Dunque potrebbe non aver mai sentito parlare della profezia che, nel poema di Omero, l’indovino Tiresia fece all’eroe quando questi scese agli Inferi.
Il mitico indovino profetizzò che Ulisse avrebbe dovuto riprendere il mare. E avrebbe dovuto navigare fino a quando fosse giunto in una terra i cui abitanti non conoscessero navi, vele e remi. Solo a quel punto sarebbe potuto ritornare per sempre a Itaca e concludere in pace la propria vita.
(Ulisse riceve la profezia di Tiresia – cratere a calice a figure rosse di produzione italica, Pittore di Dolone, 380 a.C. – Bibliothèque Nationale de France, Cabinet des Médailles)
Una tradizione mitica dell’antichità che Dante avrebbe invece potuto conoscere – e che sappiamo essere stata nota al figlio Pietro, futuro commentatore dei suoi scritti – narra invece una fine diversa per Ulisse.
L’eroe sarebbe morto a Itaca, ucciso da Telegono, il figlio avuto da Circe. Questi era giunto sull’isola per incontrarlo ma, fatalmente, non l’avrebbe riconosciuto. Ulisse lo scambiò per un pirata venuto a saccheggiare l’isola e lo affrontò in duello, trovando però la morte.
Se Dante conobbe questa storia, decise di non utilizzarla. Una simile fine, tutto sommato banale, non si adattava per nulla al grandioso personaggio tragico che stava costruendo.
6 di 7 – DIOMEDE, L’EROE DIMENTICATO
Ulisse è eternamente legato a Diomede, un altro grande eroe greco. Insieme a lui compì una delle imprese che Dante considera fraudolente, ovvero il furto del Palladio, l’effige divina che proteggeva la città di Troia.
(Ulisse e Diomede rubano il Palladio – vaso a figure rosse di produzione italica, proveniente da Reggio Calabria, 360-350 a.C., Louvre – immagine tratta da Wikipedia)
Il destino di Diomede è dunque simile a quello di Paolo, unito per sempre a Francesca con cui commise il peccato di lussuria, e a quello del Conte Ugolino (lo incontreremo tra qualche Canto), il quale è all’inferno insieme al suo acerrimo nemico, l’Arcivescovo Ruggeri.
Diomede, come Paolo e l’Arcivescovo, non parla. Sta sempre in silenzio.
Tutti e tre sono complici dei peccatori, e perciò condannati insieme con loro, ma hanno solo un ruolo secondario.
Eppure anche Diomede, come Ulisse, conobbe un ritorno travagliato da Troia. E anche lui lasciò di nuovo la sua patria e riprese il mare.
L’eroe infatti, durante la guerra, aveva ferito in battaglia Afrodite. La dea dell’amore, per vendicarsi dell’offesa subita, fece in modo che la moglie e i sudditi di Diomede perdessero ogni ricordo di lui. Così, una volta tornato a casa, trovò il suo mondo sconvolto, e non gli restò che ripartire.
Nella mentalità greca Diomede diviene così uno dei grandi eroi-esploratori, come Eracle e lo stesso Ulisse.
In particolare, secondo il mito, avrebbe percorso l’Adriatico, sulle cui coste avrebbe fondato varie città.
7 di 7 – LA LEGGE DEL CONTRAPPASSO
Nell’Ottava Bolgia i dannati sono avvolti dalle fiamme. Ciascuno ha la sua, con l’eccezione proprio di Ulisse e Diomede, che sono in due dentro una sola.
Ci si deve chiedere se anche qui, come altrove, valga la legge del contrappasso, e soprattutto se valga per Ulisse.
Una prima risposta – di per sé non sbagliata ma comunque incompleta – può essere che Ulisse, come in vita fu consumato dal desiderio di conoscere, ora è consumato dal calore della fiamma, che non si spegne mai e anzi sempre si rinnova.
Le fiamme nascondono l’aspetto dei peccatori, proprio come essi, in vita, nascosero le loro vere intenzioni dietro i consigli fraudolenti che pronunciarono.
E fin qui tutto bene. Il contrappasso è rispettato.
Ulisse, però, patisce anche un’altra pena.
Benché possa camminare e muoversi, la fiamma di fatto lo imprigiona, lo costringe in uno spazio ristretto, angusto. Proprio lui che in vita fu sempre spinto ad andare oltre, a superare i limiti.
FONTI
Gennaro Sasso, Ulisse e il desiderio. Il Canto XXVI dell’ Inferno, Viella 2011
Mauro Bonazzi, “L’Ulisse di Antioco, eroe della conoscenza”, su Sette, settimanale del Corriere della Sera, 31 Gennaio 2020 (accessibile al link sottostante).