TRAMA
Vanni Fucci, non contento di aver sconvolto Dante, si rivolge direttamente a Dio con un gesto osceno e parole blasfeme.
Ma è la sua ultima sfida. Un serpente si attorciglia attorno al suo collo, impedendogli di parlare ancora. E un altro si annoda intorno ai polsi, stringendolo in una morsa.
Da quel momento, dice Dante, i serpenti mi stanno simpatici.
In tutto l’Inferno, continua poi, non vidi un altro spirito così superbo. Nemmeno lo sfrontato Capaneo lo era così tanto.
Maledetta Pistoia, dice ancora, perché non vai a fuoco e cessi di esistere, poiché continui a fare il male?
Vanni Fucci scappa, tormentato dalle serpi. Ma un nuovo dannato si approssima.
È un centauro, l’essere mezzo uomo e mezzo cavallo. Ma anche lui è ricoperto di serpenti, e sulle sue spalle c’è perfino un drago. Le fauci spalacante del mostro eruttano fuoco, incenerendo chiunque gli si avvicini.
Virgilio, come di consueto, interviene per spiegare a Dante chi hanno di fronte.
“Costui altri non è che CACO, il quale sotto il colle dell’Aventino fece scorrere molte volte il sangue delle sue vittime.
Non sta con gli altri centauri, lassù, perché rubò a Ercole una mandria di buoi. Il grande eroe lo uccise, ponendo così per sempre fine alle sue violenze.”
(CACO – illustrazione di Jean Edouard Dargent per La Divine Comédie, traduction de Artaud De Montor, Libraire Garnier, Paris 1870)
Caco corre via, piegato sotto il peso dei suoi tormenti.
D’improvviso, senza che né Virgilio né Dante se ne accorgano, compaiono di fronte a loro tre anime, che gridano:
“E voi chi siete?”
Dante non li conosce. I tre parlano tra loro e, riferendosi a qualcuno che non è lì con loro, dicono:
“Dov’è Cianfa? Forse è rimasto indietro?”
Ed ecco uno spettacolo che, Dante lo sa, qualsiasi lettore farebbe fatica a credere. Lui stesso, che ne è stato testimone, si stupisce ancora adesso di quel che ha visto.
Un rettile a sei zampe si avventa su uno dei dannati. Con le due anteriori gli afferra le braccia, con quelle di mezzo si avvinghia alla pancia, con le due posteriori gli artiglia le cosce, infilando la coda tra i polpacci e spingendola su per la schiena.
Somiglia all’edera che si avvita al tronco di un albero.
Inizia un’orrenda trasformazione. Il mostro e il dannato paiono fondersi l’uno nell’altro, come un foglio esposto al calore di una fiamma vede spandersi sulla sua superficie una patina nera di bruciato.
Gli altri due dannati osservano la scena con orrore, gridando:
“Oh, Agnolello, cosa sei diventato! Adesso non sei né due né uno.”
Un nuovo cambiamento si produce in quell’anima sventurata. Le due teste diventano una sola, le zampe del mostro si tramutano in gambe umane, e le altre membra diventano un orrore mai visto.
Divenuto un essere orribile, il dannato se ne va, lentamente.
All’improvviso compare un piccolo rettile di colore nero. Attacca uno degli altri due dannati, rapido come il ramarro che lascia il riparo della siepe in un giorno di calura e corre a cercare l’ombra.
Il rettile lo morde all’ombelico, e poi cade ai suoi piedi.
Il dannato lo guarda, ma non dice nulla. Il rettile guarda lui. Dalla bocca del serpente e dall’ombelico del dannato inizia a uscire del fumo.
(Il serpente attacca Buoso Donati – illustrazione di William Blake, 1824 – 27)
Ovidio e Lucano, che pure nei loro poemi narrarono di metamorfosi, non avrebbero potuto concepirne una così spaventosa.
Parzialmente nascosti dalla caligine, il dannato e il rettile iniziano una doppia trasformazione, tramutandosi l’uno nell’altro.
Per lunghi momenti, le membra umane si ritraggono, divenendo spire. E al contempo quelle serpentine si espandono, divenendo gambe e braccia.
Il dannato cade a terra contorcendosi, ormai trasformato in rettile. E il rettile si alza in piedi, nella sua nuova forma di uomo.
L’anima tramutata in bestia corre via sibilando per la valle oscura.
Il rettile fattosi uomo gli va dietro, ma poi si ferma, voltandogli le spalle appena formatesi.
“Voglio che Buoso strisci quaggiù, come ho fatto io finora.”
I dannati fuggono, ma Dante – che pur ha ancora la mente offuscata dai prodigi a cui ha assistito – riesce comunque a riconoscerli.
Uno era Puccio Sciancato, e l’altro colui per vendicare il quale fu assediato il castello di Gaville.
COMMENTO
Un Canto il cui tema centrale è la metamorfosi.
Dante, che come al solito ha un’alta considerazione di sé stesso e delle sue capacità poetiche, dice che descrivendo queste scene inconsuete e orribili ha superato persino Ovidio, il cui poema più famoso è appunto Le Metamorfosi, in cui sono narrate le trasformazioni di uomini e Dei.
La pena dei Ladri non è dunque solo essere tormentati dai serpenti, ma diventare serpenti essi stessi.
Per ridiventare uomini devono attaccare gli altri dannati e “rubare” loro la forma umana.
Un altro perfetto esempio della Legge del Contrappasso.
Nel Canto precedente abbiamo visto una parodia della resurrezione: il dannato che brucia fino a diventare cenere e poi si ricompone.
Qui invece vediamo una parodia della doppia natura che la Chiesa riconosce a Cristo. Gesù è umano e divino insieme. I Ladri – ma, in generale, tutti i dannati – sono al contempo uomini e bestie.
Per questo le metamorfosi raccontate da Dante sono superiori a quelle narrate dai poeti antichi. Quelle servivano solo a meravigliare il lettore, queste contengono un significato morale.
Sparito Vanni Fucci, compare CACO.
È un personaggio della mitologia classica. Qui è presentato come un centauro, ma secondo altri autori antichi – tra cui Virgilio, che parla di lui nell’Eneide – era un mostro o un gigante.
La sua sede era il colle dell’Aventino, sulle sponde del Tevere. Era un ladrone sanguinario, ma mal gliene incolse quando rubò a Ercole la mandria di buoi che l’eroe stava portando in Grecia, dopo averli a sua volta sottratti a Gerione, il mostro triforme, durante una delle sue Fatiche.
Essendo un ladro merita dunque di stare quaggiù, e non più su con gli altri centauri.
Più che la violenza è infatti punita qui la sua frode. Per non farsi scoprire infatti aveva legato i buoi in modo che camminassero all’indietro, così che le loro tracce non rivelassero l’ubicazione del suo covo.
(Ercole e Caco – statua di Baccio Bandinelli, 1533 – Firenze, Piazza della Signoria – è collocata a fianco della copia del David di Michelangelo, ma è poco conosciuta, specie rispetto alla celebre opera del Buonarroti – immagine e note tratte da Wikipedia: https://it.wikipedia.org/wiki/Ercole_e_Caco )
Ricordiamoci sempre che qui nelle Malebolge sono puniti i peccati di FRODE.
Ci servirà per il prossimo Canto.
Gli altri ladri menzionati da Dante, pur essendo suoi contemporanei, sono meno conosciuti.
Il primo, che fuori scena si tramuta nel mostruoso rettile a sei zampe, è CIANFA DONATI, parente dunque del celebre Corso, il nemico di Dante, ma anche della moglie del poeta, Gemma. Ricoprì una carica pubblica nel sestiere dove Dante abitava, ma fu poi condannato per furto con scasso.
Il secondo, che si trasforma in un orrendo miscuglio di uomo e di serpe, è AGNOLELLO BRUNELLESCHI. Apparteneva a un’importante famiglia fiorentina che, inizialmente di parte Bianca (o, secondo altri, ghibellina), passò poi ai Neri.
Il terzo, che si trasforma da uomo in serpente, è BUOSO DONATI, anche lui appartenente alla famiglia che si pose a capo dei Guelfi Neri. Era lo zio di Corso, e nipote di un altro Buoso (che incontreremo nel Canto 30).
Il quarto – e unico a non finire trasformato in rettile – è PUCCIO GALIGAI (detto “Sciancato” perché storpio). Fu esiliato da Firenze.
L’ultimo, il piccolo rettile nero che si trasforma in uomo, è FRANCESCO CAVALCANTI. Venne assassinato nelle lotte di parte, e per vendicare la sua morte la famiglia Cavalcanti pose l’assedio al castello di Gaville, in Valdarno, appartenente alla famiglia Ubertini. Il castello venne poi confiscato dal governo di Firenze.
(I Ladri tramutati in serpenti – Jan Van Der Straet detto Giovanni Stradanio, disegno del 1587-88 – Firenze, Biblioteca Medicea Laurenziana)
FONTI:
Commedia vol. 1. Inferno, a cura di Natalino Sapegno, La Nuova Italia Editrice 1968
Inferno, Mondadori 2018, commento di Franco Nembrini, illustrazioni di Gabriele Dell’Otto
La Divina Commedia, a cura di Siro A. Chimenz, UTET 2003
Enrico Malato (a cura di), Dizionario della Divina Commedia, Salerno Editrice 2018 (edizione speciale per il Corriere della Sera, 2 volumi, 2021)
Marco Santagata, Guida all’ Inferno, Mondadori 2013