TRAMA
Virgilio aiuta Dante a salire sulle rovine del ponte crollato, stando ben attento che non si faccia male. Vera sollecitudine è la sua, l’affetto del maestro che guida e ama il proprio allievo.
È una salita faticosa per il poeta, il quale ha ancora indosso il peso del suo corpo di carne. Ma per fortuna l’argine su cui si trovano è più basso dell’altro.
Le Malebolge infatti pendono tutte verso il centro dell’enorme pozzo che forma l’inferno. Uscire da una per andare nella successiva, più in basso, è quindi abbastanza agevole.
Comunque, arrivato in cima, Dante è stremato. Si siede per riposarsi un poco, ma Virgilio lo esorta a muoversi.
“Chi sta seduto o rimane a letto non raggiungerà mai la fama. E senza di essa, la nostra vita non è altro che aria impalpabile, effimera come la spuma del mare.
Alzati, dunque, e accendi nel tuo animo quell’ardimento che permette di vincere ogni battaglia.
Aver lasciato questi dannati non basta. Ben altra salita ti attende tra poco.
Ora lascia che ti aiuti.”
Dante obbedisce, mostrandosi forte e convinto anche se è ancora molto stanco.
Riprende il cammino, parlando per non far sembrare d’essere senza fiato.
Dalla nuova bolgia proviene una voce. Non si capisce a chi appartenga o cosa stia dicendo. Sembra però che qualcosa, o qualcuno, spinga colui che parla a correre rapidamente.
Dante si sporge oltre l’argine, ma la tenebra che tutto avvolge gli impedisce di vedere.
Così prega Virgilio di accompagnarlo giù, per meglio osservare e ascoltare. Il maestro, ovviamente, l’accontenta.
È giunto nella SETTIMA BOLGIA. Uno spettacolo insolito e terribile si presenta ai suoi occhi.
L’intera fossa è ricolma di serpenti. Sono tantissimi, più numerosi di quelli che vivono in Africa e in Arabia messe insieme.
In mezzo ai loro corpi brulicanti corrono i dannati. Nudi, terrorizzati, le mani legate dietro la schiena non con funi, ma con altri serpenti.
(I Ladri tormentati dai serpenti – illustrazione di Jean Edouard Dargent per La Divine Comédie, traduction de Artaud De Montor, Libraire Garnier, Paris 1870)
Dante vede un dannato correre verso di loro, mentre un serpente lo morde dietro la nuca, alla base del collo.
In un attimo, più breve di quel che si impiega a scrivere una O o una I, il suo corpo prende fuoco e viene ridotto in cenere.
Ma l’istante successivo il mucchietto di braci si solleva, ricomponendo la forma umana esattamente com’era prima.
I sapienti credono sia questo il modo in cui la fenice muore e rinasce, giunta a cinquecento anni d’età. Nel corso della sua vita non mangia né erba né biada, ma si nutre di gocce d’incenso, e muore avvolta dalla mirra.
Il dannato si riprende. Si guarda attorno sconcertato, come capita all’epilettico che cade a terra d’improvviso, a causa di un diavolo che lo colpisce o per qualche altra momentanea interruzione delle funzioni vitali, e poi si ridesta, non capendo cosa gli sia successo.
Virgilio gli chiede il suo nome. E questi risponde:
“Io ero toscano, e solo poco tempo fa sono caduto in questa fossa.
Condussi una vita bestiale invece che umana. Sono VANNI FUCCI, di Pistoia, la tana adatta alla belva che fui.”
Dante dice a Virgilio:
“Digli che non scappi, e domandagli quale colpa lo ha condotto quaggiù. Io l’ho conosciuto, e mi ricordo che era violento e incline all’ira.”
Il dannato si volge verso Dante con aria di sfida:
“Soffro più ora che tu mi veda in questa situazione di quando fui strappato alla vita.
Non posso evitare di risponderti. Sono finito così in basso perché, da vivo, rubai gli arredi sacri in una chiesa, e feci accusare un altro del furto.
Ma non potrai rallegrarti di avermi visto qui, se mai uscirai da queste tenebre.
Ascolta bene quel che ti dico.
I Neri verranno cacciati da Pistoia, ma poco dopo saranno i Bianchi a venir cacciati da Firenze!
Scoppierà la guerra. Dalla Val di Magra sorgerà un fulmine che squarcerà la nebbia, e ogni sostenitore dei Bianchi verrà colpito!
E questo te lo dico per farti soffrire!”
COMMENTO
Siamo giunti nella Settima Bolgia, quella dei LADRI.
Singolare pena quella a cui sono condannati, e altrettanto singolare il fatto che vengano ridotti in cenere e subito dopo si ricompongano.
L’accenno alla fenice non è casuale.
All’epoca infatti il mitico uccello era visto come un’immagine di Cristo, perché come lui moriva e risorgeva.
La resurrezione attende tutti coloro che ripongono la loro fede in Dio, e in Cristo. Una volta rinati, vivranno per sempre nella beatitudine del Paradiso.
Ma qui viene messa in scena una parodia, una versione rovesciata della resurrezione stessa.
I dannati morsi dai serpenti sono ridotti in cenere, e subito dopo ritrovano la propria forma umana, ma solo per continuare a soffrire. In eterno.
Gli strani nomi delle varie specie di serpenti non sono inventati da Dante, che invece li copia da un poeta latino, Lucano (uno degli “spiriti magni” incontrati nel “nobile castello”, sede come abbiamo visto anche dello stesso Virgilio).
Nel Medioevo, mancando ancora conoscenze precise sull’Africa, si credeva nell’esistenza di animali fantasiosi, come l’anfisbena, un serpente a due teste.
Anche qui, come ovunque, è applicata la pena del contrappasso.
I ladri, in vita, usarono le mani per arraffare le cose altrui, e ora le hanno legate. Per rubare usarono l’astuzia, e ora sono tormentati dai serpenti, simbolo di malizia (fin dai tempi di Adamo ed Eva, letteralmente).
Quando il dannato si ricompone è paragonato a un epilettico che, caduto in terra in preda alle crisi convulsive, una volta passato l’attacco è confuso e non sa bene cosa sia successo.
L’epilessia era già nota nell’antichità. Veniva chiamata “male sacro” e si pensava fosse inviata dagli Dei. A quanto si dice, ne soffriva ad esempio Giulio Cesare.
Nel Medioevo mantiene il suo carattere di malattia soprannaturale, ma si credeva fosse provocata dal diavolo.
Qui però Dante inserisce anche una prima, ipotetica ricostruzione medica: oltre che dalla possessione demoniaca il male potrebbe anche essere dovuto a un’occlusione dei vasi sanguigni.
Chi è dunque il dannato che, nonostante la sua misera condizione, si rivolge a Dante in maniera così diretta?
Si tratta di GIOVANNI (“Vanni”) FUCCI, figlio illegittimo di un magnate di Pistoia. Fu un Guelfo di parte Nera, coinvolto nelle lotte intestine della sua città.
Dante lo conobbe, e sapeva che era violento e sanguinario. Per questo si aspettava di trovarlo più su, nei gironi dove è punita la sfrenatezza delle passioni, non quaggiù.
È lui stesso, sebbene di malavoglia, a confessare il suo peccato. Negli anni Novanta del Trecento rubò gli arredi sacri di una cappella del Duomo di Pistoia. Del furto fu accusata un’altra persona che non c’entrava niente. Solo molto più tardi, forse quando era già morto, si scoprì che il colpevole era lui.
Egli non si mostra però pentito, né del furto né della sua vita violenta.
Anzi, profetizza a Dante le future sconfitte che i Bianchi dovranno patire.
“Il fulmine della Val di Magra” è, secondo gli studiosi, da identificare con Moroello Malaspina, esponente della nobile famiglia che governava la Lunigiana.
Questi è un Guelfo Nero, e sconfiggerà i Bianchi di Pistoia, che erano stati messi al potere in città dai Fiorentini. I quali, a loro volta, vedranno i Neri prendere il potere ed esiliare i Bianchi, tra cui Dante.
È significativo, comunque, che Moroello Malaspina, benché di parte Nera, sarà tra i protettori di Dante in esilio. Il poeta soggiornerà infatti per qualche anno nei castelli della potente famiglia (lo abbiamo visto qui: https://stefanotartaglino.it/dante-senza-paura-episodio-6-scrivere-in-esilio ).
(stemma dei Malaspina dello Spino Secco, il ramo della famiglia a cui apparteneva Moroello – immagine tratta da Wikipedia)
FONTI:
Commedia vol. 1. Inferno, a cura di Natalino Sapegno, La Nuova Italia Editrice 1968
Inferno, Mondadori 2018, commento di Franco Nembrini, illustrazioni di Gabriele Dell’Otto
La Divina Commedia, a cura di Siro A. Chimenz, UTET 2003
Tommaso Di Salvo, Dante nella critica. Antologia di passi su Dante e il suo tempo, La Nuova Italia Editrice 1965 (Canto XXIV, pp. 337 – 341)
Enrico Malato (a cura di), Dizionario della Divina Commedia, Salerno Editrice 2018 (edizione speciale per il Corriere della Sera, 2 volumi, 2021)
Marco Santagata, Guida all’ Inferno, Mondadori 2013