DANTE, SENZA PAURA – INFERNO, CANTO 22

 

TRAMA

 

Dante e Virgilio proseguono il cammino, scortati dalla pattuglia dei dieci diavoli.

Il poeta è ancora frastornato dall’esperienza: ma in fondo, dice fra sé, in chiesa coi santi e in osteria coi furfanti.

 

Intanto osserva il fondo della fossa. Qua e là, tra la pece bollente, compare per qualche attimo la schiena di un dannato, per poi subito inabissarsi di nuovo nel liquido nero.

Alcuni osano addirittura mostrare il volto, come le rane che sporgono solo il muso fuori dall’acqua: ma non appena vedono Barbariccia si ritirano obbedienti sotto la superficie.

 

Uno però rimane dov’è, e subito il diavolo Graffiacane lo afferra con l’uncino e lo tira fuori dalla pece.

 

Gli altri diavoli si mettono a gridare: “Rubicante, squarciagli il corpo con i tuoi artigli!”

 

Dante chiede a Virgilio se sia possibile sapere il nome di quell’anima sventurata. Il maestro gli si accosta e glielo domanda.

 

“Io nacqui nel regno di Navarra. Mio padre era una persona cattiva, che sperperò il proprio patrimonio e infine si uccise. Mia madre mi mandò a servizio da un signore, e da lì passai poi alle dipendenze del buon re Tebaldo. Ma lo tradii dandomi alla baratteria, e per questo mio peccato ora sto qua a rivoltarmi nella pece.”

 

Ciriatto, dal cui muso spuntano due zanne come quelle del cinghiale, le usa per straziargli le carni.

 

La povera anima è come un topo preso in mezzo dai gatti, che si divertono a giocare con lui prima di ucciderlo.

 

Barbariccia lo afferra e lo tiene fermo, ordinando agli altri di sospendere le loro torture.

Poi dice a Virgilio:

 

“Parlagli ancora, se vuoi, prima che i miei compagni lo facciano a pezzi.”

 

Virgilio allora gli domanda:

 

“Sai se lì sotto c’è qualche altro che viene dall’Italia?”

 

“Proprio poco fa stavo insieme a uno che viene da un luogo vicino all’Italia. Oh, se fossi ancora lì con lui non dovrei temere le zanne e gli uncini di questi diavoli!”

 

“Abbiamo aspettato abbastanza!” grida Libicocco. Con l’uncino gli afferra il braccio, strappandogli un brandello di carne.

Subito viene imitato da Draghignazzo, che gli arpiona le gambe. Ma Barbariccia rivolge loro un’occhiataccia e li fa smettere.

 

 

(Ciampolo torturato dai diavoli di Malebranche – illustrazione di William Blake, 1825 – 27)

 

 

Virgilio gli chiede ancora:

 

“Chi era quello di cui dicevi prima?”

“Era frate Gomita, della Gallura. Ebbe in suo potere i nemici del suo signore, ma li lasciò andare con un processo sommario dopo essersi intascato una bella somma. E anche in altre occasioni non fu un piccolo barattiere, ma uno dei più grandi.

 

Insieme a lui, là sotto la pece, c’è Michele Zanche, di Logudoro. Non si stancano mai di parlare della Sardegna.

 

Ohimé, quel diavolo si prepara a picchiarmi!”

 

Infatti Farfarello strabuzza gli occhi, pronto ad attaccare. Ma Barbariccia tiene a freno anche lui.

 

“Se voi volete vedere e parlare con Toscani o con gente del Nord Italia, io li farò venire. Ma vi chiedo di tener lontani i diavoli, così che i miei compagni non debbano temere le loro torture. Posso far venire qui molte altre anime, se mi metto a fischiare come abbiamo concordato, ogni volta che qualcuno di noi tira fuori il capo dalla pece.”

 

“Ma guarda che bella pensata ha fatto questo!” commenta Cagnazzo.

 

“Vediamo se davvero vali più di noi!” sbotta Alichino “Se ti tuffi, io non ti inseguirò a piedi, ma volerò sopra la pece.”

 

Comincia una strana gara. I diavoli si voltano verso la parete, fingendo indifferenza. Il dannato, colto il momento, si libera dalla stretta di Barbariccia e si tuffa di nuovo nella pece. Alichino tenta di afferrarlo, ma si muove troppo tardi e lo manca.

 

Calcabrina vola dietro di lui, cercando la rissa. E non appena il dannato scompare i due diavoli si avvinghiano l’uno all’altro, mordendosi e graffiandosi, fino a cadere anche loro nella pece.

 

Il tremendo calore li convince a sospendere la lotta per cercare di riguadagnare la riva. Ma le loro ali sono impastate di pece, e non riescono a tirarsi su.

 

Barbariccia, depresso come gli altri per essere stato beffato dal dannato, manda altri quattro diavoli a ripescare i due litiganti.

 

Dante e Virgilio se ne vanno, lasciando i diavoli alle loro beghe.

 

 

COMMENTO

 

Un altro Canto che mostra la bestialità dei diavoli. Rissosi, violenti e anche parecchio stupidi, visto che si fanno beffare da un dannato.

 

Su costui abbiamo qualche informazione, ma non sappiamo il suo nome.

I commentatori antichi lo identificano con un certo CIAMPOLO, e da allora è chiamato così.

Il nome sarebbe la versione toscana di “Jean-Paul”. La Navarra era un regno medioevale che si estendeva su entrambi i lati dei Pirenei, prima di venire assorbito dalla Spagna e dalla Francia: viene nominato Tebaldo II, che fu re tra il 1253 e il 1270.

 

Gli altri dannati di cui sentiamo parlare vengono invece dalla Sardegna.

 

La storia della Sardegna medioevale è poco nota al di fuori dell’isola stessa.

Era divisa in quattro territori detti “giudicati”: Arborea, Cagliari, Gallura e Logudoro.

 

 

 

(I giudicati della Sardegna medioevale – immagine tratta da Wikipedia)

 

 

I due personaggi qui nominati vengono rispettivamente dal giudicato di Gallura (frate Gomita) e da quello di Logudoro (Michele Zanche).

Di frate Gomita non sappiamo altro. Ben più noto è il suo signore. Nino Visconti di Gallura proveniva da una famiglia guelfa pisana. Dante lo conobbe personalmente, e lo incontrerà in Purgatorio.

Michele Zanche, nativo di Sassari, si impossesò del potere nel giudicato di Logudoro. Per tutelare i propri interessi diede in sposa la figlia a Branca Doria, esponente della potentissima famiglia Doria di Genova, ma nonostante questo finì da lui assassinato. Per questo Dante lo collocherà all’Inferno, tra i traditori dei parenti: lo incontreremo un po’ più giù.

 

Da notare, per finire, che Dante considera la Sardegna un territorio in parte straniero, non compreso nell’Italia propriamente detta.

Qui lo fa dire a Ciampolo, che risponde alla domanda di Virgilio se ci siano con lui degli Italiani (“degli altri rii conosci tu alcun che sia latino sotto la pece?”): “Io mi partii poco è, da un che fu di là vicino”, riferendosi a frate Gomita di cui parlerà poco oltre.

Ma anche nel De Vulgari Eloquentia considera i Sardi “non italici, ma da aggregarsi agli italici” (I, XI, 7).

 

 

FONTI:

 

Commedia vol. 1. Inferno, a cura di Natalino Sapegno, La Nuova Italia Editrice 1968

 

Inferno, Mondadori 2018, commento di Franco Nembrini, illustrazioni di Gabriele Dell’Otto

 

La Divina Commedia, a cura di Siro A. Chimenz, UTET 2003

 

 

Enrico Malato (a cura di), Dizionario della Divina Commedia, Salerno Editrice 2018 (edizione speciale per il Corriere della Sera, 2 volumi, 2021)

 

Marco Santagata, Guida all’ Inferno, Mondadori 2013

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