TRAMA
Dante arriva nella Quarta Bolgia, dove sono puniti gli INDOVINI e i MAGHI.
Questi dannati hanno un aspetto talmente mostruoso che il poeta, nel vederli, versa calde lacrime: essi hanno infatti il collo ritorto, tanto che la testa è volta indietro invece che avanti.
Dante spiega di piangere non per la loro pena, che sa essere giusta e meritata, ma perché non riesce a sopportare la visione di un corpo umano, che nasce fatto a immagine e somiglianza di Dio, così deformato e orribile.
(Gli Indovini – illustrazione di Gabriele Dell’Otto per l’edizione Mondadori dell’Inferno, anno 2018)
Virgilio, naturalmente, lo rimprovera. Come può ancora essere così sciocco? Non si rende conto che questi dannati, quando furono in vita, credettero di poter condizionare il volere di Dio?
Poi gli mostra alcuni dei più famosi indovini del passato.
Il primo è ANFIARAO, uno degli eroi guerrieri che parteciparono all’impresa dei Sette contro Tebe. Essendo anche un indovino aveva previsto la propria morte in quella battaglia, e già stava volgendosi per tornare indietro quando sotto i suoi piedi si aprì nella terra una voragine che lo inghiottì.
Il secondo è TIRESIA, il più celebre indovino della mitologia greca. Ebbe uno strano destino: da uomo che era divenne donna, perché aveva commesso un sacrilegio colpendo con un bastone due serpenti, e riacquistò le sue normali sembianze solo dopo sette anni, quando si imbatté nuovamente negli stessi serpenti e li toccò una seconda volta.
Il terzo, meno noto, è Arunte, un indovino etrusco.
C’è infine una donna, MANTO, figlia dello stesso Tiresia. Da lei prese il nome la città di Mantova, patria di Virgilio.
Qui il maestro si ferma, e racconta le origini mitiche della città.
Manto, lasciata la natìa Tebe caduta sotto la tirannia del crudele re Creonte, vagò per il mondo finché giunse nell’Italia Settentrionale. Scelse di stabilirsi lì, su un lembo di terra in mezzo a una palude, lontana da qualsiasi contatto umano.
Dopo la sua morte gli abitanti del luogo, compreso che la palude era una difesa contro gli invasori, costruirono lì una città.
Questa, conclude Virgilio, è la vera storia di Mantova. Se senti qualcuno raccontare una versione diversa, sappi che è un inganno.
Dante assicura al suo maestro che non crederà mai a nessun altro, e poi lo prega di indicargli altri dannati famosi. Conoscere chi essi furono è ciò che gli interessa di più.
Tra personaggi mitologici e storici, gli indovini sono una vera folla. E in mezzo a loro vi sono anche molte donne, che preferirono abbandonare i lavori femminili ai quali avrebbero dovuto dedicarsi per praticare invece le arti magiche.
Ma è nuovamente tempo di andare. La luna piena sta tramontando, e bisogna affrettarsi.
COMMENTO
Il canto si apre…con la parola “canto”.
É la prima volta in assoluto che Dante definisce così le parti che compongono il suo poema.
Subito dopo definisce “canzone” questa sezione, ovvero l’Inferno. Noi oggi usiamo il termine cantica.
Quindi tre cantiche e cento canti in totale. Del valore dei numeri abbiamo già trattato in precedenza (vedi : https://stefanotartaglino.it/dante-senza-paura-la-commedia/ )
Ancora una volta la pena scelta per i dannati rispetta la legge del contrappasso: gli indovini vollero guardare avanti, e perciò ora hanno la testa rivolta all’indietro.
La conoscenza di ciò che sarà è propria solo di Dio. L’Uomo non può prevedere cosa avverrà nel futuro: presumere di poterlo fare è un atto di superbia.
Indovini e astrologi erano molto diffusi non solo nell’antichità, ma anche ai tempi di Dante. E oggi, nella nostra epoca, sono di nuovo in auge.
Il Cristianesimo condannò le pratiche antiche, ma diede anche sollievo alle paure degli uomini: prima essi temevano il futuro, non sapendo cosa aspettarsi; con il Cristianesimo un buon credente sapeva, grazie alla venuta di Gesù, che nel futuro era previsto il Regno di Dio, e dunque che tutto sarebbe andato bene.
Oggi che la fede cristiana conosce una profonda crisi, di valori e di identità, le persone si rivolgono di nuovo a maghi e cartomanti. Non c’è nulla di condannabile in questo: voler essere rassicurati è un’esigenza comprensibile.
(Specchio etrusco in bronzo che raffigura un indovino intento a esaminare viscere animali – proveniente da Vulci, Quinto Secolo a.C. – Roma. Musei Vaticani; © Vatican Museums)
Tra gli indovini che Virgilio mostra a Dante c’è la profetessa Manto. Il maestro ne approfitta per narrare le origini della propria città natale, e conclude…correggendo sé stesso.
Infatti nell’Eneide racconta una storia diversa: Mantova sarebbe stata fondata dal figlio di Manto, che le avrebbe dato il nome della madre.
Questa contraddizione di Virgilio con sé stesso è solo apparente: qui, nella Commedia, egli non è il vero poeta latino, vissuto in un preciso momento storico, ma un personaggio, un attore che calca la scena come tutti gli altri, perché così lo ha creato e immaginato Dante.
Una spiegazione più sottile potrebbe invece coinvolgere il suo destino ultraterreno. Virgilio, da vivo, non conosceva ancora la Verità con la V maiuscola, perché ai suoi tempi Cristo non era ancora sceso in terra. Ora che è morto invece ha la visione completa di ciò che è stato, e può quindi ammettere l’errore contenuto nel suo stesso poema.
Gli altri indovini citati nel canto sono personaggi minori, della mitologia e della storia. Curioso il caso di un tal ASDENTE, un semplice calzolaio di Parma di nome Benvenuto (soprannominato “Asdente” perché senza denti), vissuto verso la metà del Duecento, il quale benché illetterato divenne molto famoso come profeta e indovino. Dante parla di lui anche nel Convivio.
FONTI:
Commedia vol. 1. Inferno, a cura di Natalino Sapegno, La Nuova Italia Editrice 1968
Inferno, Mondadori 2018, commento di Franco Nembrini, illustrazioni di Gabriele Dell’Otto
La Divina Commedia, a cura di Siro A. Chimenz, UTET 2003
Enrico Malato (a cura di), Dizionario della Divina Commedia, Salerno Editrice 2018 (edizione speciale per il Corriere della Sera, 2 volumi, 2021)
Marco Santagata, Guida all’ Inferno, Mondadori 2013