TRAMA
Dante arriva alla Terza Bolgia, dove sono puniti i SIMONIACI.
Si tratta di coloro che, come Simon Mago da cui presero il nome, fanno commercio delle cose sacre.
La Terza Bolgia presenta un paesaggio singolare. Il fondo e le pareti della fossa sono pieni di buchi, larghi quanto i vasi con l’acqua santa che si trovano nel Battistero di Firenze.
Uno di quei vasi Dante lo ruppe quella volta che dovette salvare un ragazzo che vi era caduto dentro, rischiando di annegare.
In questi buchi i peccatori sono conficcati a testa in giù.
Di loro si vedono agitarsi solo i piedi, bruciati dal fuoco, e le gambe che scalciano furiosamente in preda ai tormenti.
(I Simoniaci – disegno a stampa di Bartolomeo Pinelli, 1825)
Tra i tanti, Dante ne nota uno che si agita più degli altri, e i cui piedi appaiono più bruciati.
Domanda il consueto permesso a Virgilio, che lo prende in braccio e lo porta giù nella fossa. Dante può così dire all’anima:
“Tu che stai conficcato nel terreno come un palo, parlami, se puoi.”
L’altro risponde:
“Bonifacio! Sei dunque già arrivato qui? Ti sei già stancato di accumulare ricchezze e potere?”
Dante non capisce cosa vogliano dire quelle parole, e se ne sta lì muto. Virgilio lo esorta a chiarire subito l’equivoco, e lui obbedisce.
“Se non sei colui che credevo, perché vieni ad interrogare proprio me? Sappi comunque che fui Pontefice, un vero figlio dell’orsa, tanto che per favorire i miei parenti lassù nel mondo mi ficcavo in tasca denaro a manciate, e adesso sono ficcato in questo buco.
Sotto di me vi sono altri Pontefici, che mi precedettero nella somma carica come nel praticar la simonia.
Anche io finirò là sotto, quando sopra di me arriverà quello per il quale ti ho scambiato.
Ma lui non si brucerà i piedi quanto me, perché in breve tempo finirà seppellito. Sopra di lui ne arriverà un altro ancora peggiore, un Papa venuto da occidente, sprezzante di ogni legge.
Sarà un nuovo Giasone, come quello di cui si legge nel Libro dei Maccabei; e come quello fu favorito dal suo re, così questo sarà favorito dal re di Francia.”
Dante, sfoderando un coraggio per lui inusuale, gli risponde aspramente:
“Dimmi un po’, quanti soldi ha chiesto Gesù a San Pietro prima di dargli le chiavi del Regno dei Cieli? Gli ha solo detto << Seguimi >> e nient’altro.
E quanti soldi Pietro e gli altri apostoli hanno chiesto a Mattia, quando fu sorteggiato per prendere il posto di Giuda?
Esser punito qui a questo modo l’hai voluto tu stesso. Goditi adesso quel denaro mal guadagnato che ti rese così superbo nei confronti di Carlo d’Angiò.
Se non mi frenasse il rispetto che ancora provo per l’alta carica un tempo ricoperta da voi, userei parole ancora più gravi.
La vostra avidità è una condanna per il mondo, perché eleva i malvagi e opprime gli onesti.
San Giovanni Evangelista ebbe una visione di voi Papi simoniaci quando vide la puttana amoreggiare con i re della terra. Finché i Pontefici seguirono la virtù ella era donna illuminata dai Sette Doni dello Spirito Santo, e obbediva ai Dieci Comandamenti. Poi si è tramutata nella grande prostituta.
Vi siete fabbricati un dio d’oro e d’argento. Che differenza c’è tra voi e gli infedeli, se non che loro pregano un dio solo, e voi ne pregate più di cento?
Oh, Costantino, quanto male è venuto non dalla tua conversione, ma dal dono che tu facesti al primo Pontefice che divenne ricco di beni mondani!”
Alle parole di Dante il Papa peccatore si agita ancora di più, forse per l’ira o per il rimorso, scalciando furiosamente con le gambe all’aria.
Virgilio si compiace delle parole di Dante. Lo prende di nuovo in braccio e lo porta fuori dalla fossa, trasportandolo fin sul ponte di pietra.
Da lì Dante può scorgere la bolgia successiva.
COMMENTO
Il Canto in cui Dante si vendica, e con forza, del suo più grande nemico: il Papa Bonifacio VIII.
Non è ancora morto, ma lo sarà presto. Nel 1303, per l’esattezza. Di lui, e dell’umiliazione subita da parte dei Francesi – il celebre “schiaffo di Anagni” – abbiamo parlato qui: https://stefanotartaglino.it/dante-senza-paura-episodio-5-esiliato
Il Pontefice conficcato nella Terza Bolgia è invece Niccolò III (Papa dal 1277 al 1280). Apparteneva alla famiglia degli Orsini, famosa stirpe aristocratica di Roma, e spesso si firmava proprio “figlio dell’orsa”.
Dante accusa anche lui di SIMONIA, ovvero di aver venduto le cose sacre allo scopo di ricavarne un guadagno.
La simonia era uno dei peccati peggiori secondo la morale dell’epoca. Per questo è collocata così in basso nell’Inferno, e rientra nell’ambito della Frode.
In questo caso Dante pensa soprattutto alla vendita delle cariche ecclesiastiche e allo sfacciato nepotismo dei Papi, che favorivano i propri parenti.
I simoniaci prendono il nome da Simon Mago, personaggio degli Atti degli Apostoli. Accortosi che San Pietro aveva il potere di trasmettere lo Spirito Santo con l’imposizione delle mani, gli offrì del denaro per comprarlo, così da averlo anche lui. Pietro, naturalmente, lo respinse sdegnato.
(Rilievo raffigurante Simon Mago tra due demoni – Tolosa, basilica di Saint-Sernin – © Wikimedia Commons)
Secondo la consueta legge del contrappasso, i simoniaci sono conficcati a testa in giù, poiché in vita capovolsero i doveri della loro carica, guadagnando denaro da ciò che avrebbe dovuto essere gratuito.
Niccolò III profetizza il prossimo arrivo anche del successore di Bonifacio VIII: Clemente V, un francese (Papa dal 1305 al 1314) il quale, seguendo gli ordini del suo re, trasferì la sede papale ad Avignone, dando inizio al periodo della cosiddetta “cattività avignonese”. Un atto inaudito, che sconvolse tutti.
Ma non è solo per questo che Dante ce l’ha con lui. Clemente V è infatti responsabile anche del fallimento dell’impresa italiana di Enrico VII, l’imperatore di Germania nel quale Dante aveva tanto sperato per risollevare le sorti d’Italia (abbiamo parlato di lui qui: https://stefanotartaglino.it/dante-senza-paura-episodio-6-scrivere-in-esilio ). Dopo un iniziale sostegno lo aveva infatti abbandonato.
Clemente V è paragonato ad un personaggio di nome Giasone. Non si tratta però dell’eroe della mitologia greca che abbiamo incontrato nel Canto precedente.
Compare nella Bibbia, nel Libro dei Maccabei, che Dante cita in maniera precisa. Volendo diventare Sommo Sacerdote del Tempio di Gerusalemme, carica occupata da suo fratello, ricercò i favori del re greco di Siria Antioco, a cui Gerusalemme era sottoposta. Offrì al re una notevole somma di denaro, in cambio della quale ebbe il suo appoggio. Poté così scacciare il fratello e divenne Sommo Sacerdote.
Dante si lancia, con una veemenza per lui inusuale, in un lungo attacco contro la Chiesa. Da esempio di virtù, beneficiata dai doni dello Spirito Santo, essa è diventata una puttana che amoreggia con i sovrani della terra, come nella visione di San Giovanni Evangelista, descritta nell’Apocalisse.
Per ora ci limitiamo a questi brevi cenni: quando giungeremo in cima al Purgatorio avremo modo di descrivere nel dettaglio queste immagini terribili ed inconsuete.
Parliamo invece dell’invocazione a Costantino, che chiude il discorso di Dante.
Costantino fu, come noto, l’imperatore romano che diede libertà di culto al Cristianesimo, mettendo fine alla persecuzioni. Ancora oggi si dibatte sulla sua conversione. Sicuramente falsa fu invece la donazione che avrebbe fatto al Papa, al quale avrebbe ceduto la città di Roma, primo nucleo del futuro Stato Pontificio.
È, questa, la famosa Donazione di Costantino, della quale esisteva un documento spacciato per ufficiale, con addirittura la firma dell’imperatore.
La supremazia della Chiesa sui sovrani temporali verrà ulteriormente ribadita da una bolla papale emessa proprio da Bonifacio VIII (Unam Sanctam, 1302).
Dante, come tutti all’epoca, riteneva il documento autentico. Questo non gli impedì, e lo scrisse nella Monarchia, di considerare la donazione illegittima dal punto di vista giuridico.
Solo nel Quattrocento un celebre letterato, Lorenzo Valla, dimostrò che il documento era un falso, risalente all’anno Mille. L’analisi critica e linguistica messa in campo dal Valla è alla base della moderna scienza della Filologia, attraverso la quale è possibile ricostruire il testo delle opere antiche e distinguere quelle autentiche da quelle false.
Per concludere veniamo alla descrizione della Terza Bolgia. Nel vederla Dante ricorda l’aspetto, a lui ben noto, del Battistero di San Giovanni a Firenze.
Era l’unico edificio monumentale dell’epoca. Il Duomo con la famosa cupola e le altre chiese della città verranno costruiti molti anni dopo.
Al suo interno, conficcati nel pavimento, vi erano dei grandi vasi pieni di acqua benedetta, che veniva usata per i battesimi.
Dante cita un episodio di cui fu protagonista. Un ragazzo era caduto in uno dei vasi, e rischiava di annegare. Per salvarlo, Dante ruppe il vaso. Un gesto sacrilego, forse, ma motivato dall’urgenza.
In realtà non sappiamo bene come si presentasse l’intero del Battistero al tempo di Dante, poiché fu spesso modificato nei secoli successivi. Anche l’episodio del salvataggio non è noto da altre fonti.
È anche possibile, come è stato proposto da alcuni commentatori, che Dante abbia voluto ripetere il gesto del profeta Geremia, il quale (come narrato nel libro biblico omonimo) avrebbe ricevuto da Dio l’ordine di distruggere un vaso all’interno del Tempio di Gerusalemme, per mostrare agli Ebrei la punizione che li attendeva.
In questo caso il verso “e questo sia suggel ch’ ogn’ omo sganni” non vorrebbe dire semplicemente che Dante giura sulla veridicità dell’episodio, ma che si presenta egli stesso come profeta, cosa che tutti dovranno riconoscere.
FONTI:
Commedia vol. 1. Inferno, a cura di Natalino Sapegno, La Nuova Italia Editrice 1968
Inferno, Mondadori 2018, commento di Franco Nembrini, illustrazioni di Gabriele Dell’Otto
La Divina Commedia, a cura di Siro A. Chimenz, UTET 2003
Enrico Malato (a cura di), Dizionario della Divina Commedia, Salerno Editrice 2018 (edizione speciale per il Corriere della Sera, 2 volumi, 2021)
Marco Santagata, Guida all’ Inferno, Mondadori 2013