DANTE, SENZA PAURA – INFERNO, CANTO 17

TRAMA

Dal profondo dell’abisso sorge un essere mostruoso, gigantesco.

 

“Ecco la bestia dalla coda aguzza!” annuncia Virgilio “Talmente possente da scavalcare le montagne e distruggere con un colpo solo le mura più robuste e le armature più forti!”

 

Ad un cenno di Virgilio, il mostro si avvicina all’argine sul quale si trovano i due pellegrini. Si erge su di loro con tutta la testa e il busto, mentre l’immensa coda rimane giù.

 

Ha volto d’uomo, dal portamento saggio e giusto. Poco sotto il torace si snodano le spire d’un immenso serpente. Le braccia sono pelose, e le mani artigliate. Su tutto il corpo vi è come un arabesco di nodi e lacci, dai colori brillanti. La coda, che saetta nell’aria, termina con un aculeo velenoso, simile a quello degli scorpioni.

 

Dante e Virgilio cominciano a scendere verso di lui. E quando giungono al suo cospetto, Dante vede delle anime sedute vicino al ciglio del burrone.

 

“Va’ da loro” gli ordina Virgilio “Ma non metterci troppo tempo. Io, intanto, parlerò con questa belva, affinché ci aiuti nella traversata.”

 

Dante obbedisce e, per la prima volta da solo, si avvicina alle anime. Pianti e grida di disperazione ne stravolgono i lineamenti. Come i cani che tentano di scacciare le mosche, i tafani e le pulci, così esse cercano di ripararsi dal fuoco che le brucia dal cielo e dal suolo allo stesso tempo.

 

Il poeta non riconosce nessuno in questa folla, ma nota un particolare. Tutti portano al collo un sacchetto, di colore diverso e con un simbolo specifico per ciascuno. Guardando questo sacchetto sembrano trovare un po’ di sollievo.

 

Tra questi, Dante ne vede uno di colore giallo, sul quale campeggia lo stemma di un leone azzurro. E poi un altro, di colore rosso, con per simbolo un’oca bianca. E un terzo di colore bianco e il disegno di una scrofa azzurra.

 

Il proprietario di quest’ultimo si rivolge a lui:

 

“Tu! Che fai in questa fossa? Vattene! E poiché vedo che sei ancora vivo, sappi che il mio concittadino Vitaliano verrà presto qui a farmi compagnia.

 

Io sono padovano, ma sto in mezzo a questi fiorentini, e li sento gridare continuamente << Scenda quaggiù quel grand’uomo a cui sarà dato un sacchetto con tre becchi!>>”

 

Poi tace, e gli fa una linguaccia.

 

Dante, temendo di essersi trattenuto troppo a lungo, si affretta a tornare da Virgilio, e lo trova già seduto in groppa al mostro.

 

“È il momento di tirar fuori tutto il tuo coraggio, poiché d’ora in avanti non scenderemo più a piedi: qualcun altro ci trasporterà. Monta davanti a me: io starò nel mezzo, così che la coda velenosa non ti tocchi.”

 

Dante, invece, ha una gran paura, Vergognandosene, si fa forza e sale sulla schiena del mostro. Virgilio, intuendo il suo terrore, lo abbraccia e lo tiene stretto.

 

Poi si rivolge al mostro:

 

“Va’, Gerione! E scendi lentamente, poiché hai un insolito carico sulle spalle.”

 

(Gerione – disegno  a stampa di Bartolomeo Pinelli)

 

 

La favolosa discesa comincia. Gerione nuota nell’aria, disegnando grandi cerchi con il suo enorme corpo di serpente.

 

Ben presto Dante si trova a mezz’aria, e prova un immenso terrore, come provarono Fetonte trascinato dal Carro del Sole e Icaro quando le sue ali si sciolsero.

 

Dopo qualche tempo vede approssimarsi di nuovo il suolo. Scorge fuochi ardere, e sente grida e pianti levarsi in alto.

 

Infine Gerione li deposita ai piedi di un’alta parete di roccia che si innalza a picco nel cielo buio. Poi, in un attimo, scompare.

 

 

COMMENTO

Un Canto con alcuni riferimenti storici, che vanno spiegati, e con echi della mitologia, a partire dalla gigantesca – è il caso di dirlo – figura di Gerione.

 

Vediamo però prima le anime incontrate da Dante in questo Canto. Chi sono? Quale peccato hanno commesso?

 

Si tratta degli USURAI. Il sacchetto che portano al collo è uno dei simboli della professione di banchieri e cambiavalute. Gli stemmi raffigurati indicano l’appartenenza a specifiche famiglie, che gli studiosi hanno individuato proprio grazie all’araldica.

 

In mezzo a tante famiglie fiorentine ce n’è anche una padovana, rappresentata dall’anima che si rivolge a Dante.

Si tratta degli SCROVEGNI, famosi per aver finanziato la costruzione e la decorazione della cappella che porta il loro nome, dove ancora oggi si possono ammirare i celebri affreschi di Giotto.

 

 

(Cappella degli Scrovegni, Padova. Sulla parete di fondo si riconosce la rappresentazione del Giudizio Universale – immagine tratta da Wikipedia)

 

 

L’usura è l’ultimo peccato ascrivibile alla Violenza, che abbiamo visto declinata nelle sue varie forme nei Canti precedenti.

 

Con l’apparizione di Gerione infatti entriamo in un nuovo settore dell’Inferno, anch’esso diviso in varie zone.

 

Da qui in avanti vengono infatti puniti i peccati di FRODE.

 

 

(Mappa dell’Inferno – tratta da Marco Santagata, Il racconto della Commedia. Guida al poema di Dante, Mondadori 2017 – l’indicazione in rosso è ovviamente mia)

 

La Frode è simboleggiata in primo luogo proprio da Gerione.

Dante ne descrive il volto simile a quello di un uomo saggio e giusto. Ma è un inganno. Chi compie una frode si presenta infatti con aspetto curato e modi affabili e gentili, per meglio accalappiare la sua preda. Le vittime si fidano, e finiscono nelle grinfie del mostro.

L’arabesco di nodi e lacci che decora il corpo serpentiforme di Gerione simboleggia le corde con cui i malvagi tengono avvinghiati i malcapitati che si sono affidati a loro.

 

Gerione, di per sé, è un personaggio della mitologia greca, che già Virgilio, nell’Eneide, colloca negli Inferi insieme ad altre creature mostruose come le Arpie, le Gorgoni e l’Idra.

Era rappresentato come un gigante formato da tre corpi, uniti all’altezza della vita. Viveva nell’estremo occidente, e possedeva una stupenda mandria di buoi. Ma poi giunse Eracle, per compiere una delle sue famose Fatiche: l’eroe, naturalmente, vinse, uccise Gerione e portò via la mandria, tornando in Grecia con un viaggio lungo e tortuoso.

 

 

(Eracle lotta contro Gerione – anfora a figure nere, circa 540 a.C. – Monaco di Baviera, Collezione Statale di Antichità)

 

Dante lo rappresenta invece come un essere dotato di tre nature differenti: uomo nel volto, leone nelle zampe anteriori e serpente nel resto del corpo.

Non è detto che se lo sia totalmente inventato. Ai suoi tempi circolavano numerose raffigurazioni di mostri, sia nei libri (di autori classici ma anche nel Tresor del suo maestro Brunetto Latini, oltre che naturalmente nell’Apocalisse) sia nelle decorazioni delle chiese romaniche.

 

 

FONTI:

 

Commedia vol. 1. Inferno, a cura di Natalino Sapegno, La Nuova Italia Editrice 1968

 

Inferno, Mondadori 2018, commento di Franco Nembrini, illustrazioni di Gabriele Dell’Otto

 

La Divina Commedia, a cura di Siro A. Chimenz, UTET 2003

 

 

Enrico Malato (a cura di), Dizionario della Divina Commedia, Salerno Editrice 2018 (edizione speciale per il Corriere della Sera, 2 volumi, 2021)

 

Marco Santagata, Guida all’ Inferno, Mondadori 2013

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