TRAMA
I due pellegrini iniziano la difficile discesa. Un sentiero scosceso si snoda tra un ammasso di rocce cadute dopo una frana.
Subito compare un nuovo mostro: il MINOTAURO, la terribile bestia con corpo d’uomo e testa di toro. Tale è la sua furia che la rivolge contro sé stesso, mordendosi.
Virgilio lo apostrofa: “Credi forse che sia venuto qui il sovrano di Atene, colui che ti diede la morte? Non è così, costui non è stato guidato da tua sorella, ma è sceso qui per osservare i vostri tormenti. E ora vattene!”
Le parole del grande poeta eccitano ancor di più il mostro. Il Minotauro si agita inutilmente, come una mucca al macello che ha ricevuto il colpo mortale e barcolla qua e là.
“Corri!” grida Virgilio a Dante “Ti conviene passare mentre è in preda al furore!”
Dante non se lo fa ripetere due volte. La discesa non è facile, le pietre scivolano sotto i suoi piedi.
Virgilio, prevedendo le sue domande, riprende a spiegare.
“Immagino tu stia chiedendoti il perché di questa frana, alla quale fa la guardia il mostro che ho appena messo a tacere.
Sappi dunque che la prima volta che io discesi quaggiù la frana non c’era ancora.
È probabile che sia caduta nel momento in cui tutto l’Inferno tremò, quando Cristo venne a liberare le anime dei giusti dal Primo Cerchio, sottraendole al controllo di Lucifero.
In quel momento pensai che l’Universo intero sentisse la forza del principio d’Amore. V’è infatti chi crede che, quando questa si manifesta, l’ordine del mondo si spezzi e ritorni il caos primordiale.
Ma ora guarda laggiù. Siamo quasi arrivati al FIUME DI SANGUE, nel quale sono immersi i VIOLENTI CONTRO IL PROSSIMO.”
Alla vista di Dante appare un grande fiume, che occupa quasi interamente l’ampia pianura.
Tra la riva e la parete di roccia corrono qua e là altri esseri prodigiosi: i CENTAURI.
Sono armati di arco e frecce, proprio come quando andavano a caccia sulla terra.
Alla vista dei pellegrini lo squadrone si arresta. Tre Centauri vengono verso di loro, le frecce già incoccate, pronti a tirare.
Uno dei tre grida:
“Voi che state scendendo il pendio, a quale pena siete assegnati? Rispondete, o tiro.”
Virgilio ribatte:
“Risponderemo solo a Chirone. Tu, come al solito, sei sempre troppo precipitoso.”
Poi si rivolge a Dante, e spiega:
“Quello che ha parlato è Nesso, che morì a causa della bella Deianira. Quell’altro in mezzo è il famoso Chirone, che fu maestro di Achille. E il terzo è Folo, che fu sempre ribollente d’ira.
Stanno tutti qui, a migliaia, lungo il canale, e colpiscono con le frecce ogni anima che tenta di sollevarsi dal sangue più di quanto sia stabilito dalla sua pena.”
( I CENTAURI – illustrazione di Gustave Dorè)
Chirone osserva Dante, e dice ai suoi compagni:
“Vi siete accorti che costui sposta quel che tocca? I piedi dei morti non lo fanno.”
Virgilio si avvicina all’autorevole centauro, e risponde:
“Certo, lui è vivo. Sono venuto per mostrargli la fossa dell’Inferno. L’ho portato qui per necessità, non certo per piacere.
Un’anima beata interruppe il suo canto d’Alleluia per affidarmi questo nuovo compito. Costui non è un ladro, né lo sono io.
In nome di quel potere che ha voluto farmi percorrere questa via difficoltosa, dacci uno dei tuoi compagni come guida. Deve farci vedere dove possiamo guadare il fiume, e portare costui sulla groppa, dato che non essendo uno spirito non può volare.”
Chirone chiama Nesso:
“Torna qui, e fa’ loro da guida. Se altre pattuglie dei nostri vi fermeranno, mandale via.”
Guidati da Nesso, i due pellegrini camminano lungo la riva ribollente. Le grida dei dannati echeggiano nell’aria.
Dante ne vede alcuni sommersi fin quasi agli occhi. Nesso spiega:
“Questi sono i tiranni, le cui mani furono lorde di sangue e avide di ricchezze. Qui sono punite le violenze che commisero senza provare alcuna pietà.
Questo è Alessandro di Tessaglia, e quest’altro Dionisio, sotto il quale la Sicilia soffrì per lunghi anni.
Questo con i capelli nerissimi è Ezzelino, mentre quell’altro biondo è Obizzo d’Este: costui, a dire il vero, fu ucciso dal suo figliastro.”
Dante guarda Virgilio, che annuisce: “Per il momento la tua guida sarà Nesso, e io verrò dopo.”
Proseguendo, il gruppo arriva presso altri dannati, che sono immersi nel sangue fino al collo.
Nesso indica un’anima che se ne sta in disparte, da sola.
“Costui ha ucciso nella casa di Dio un uomo il cui cuore si trova ancora lungo il Tamigi.”
Altri dannati hanno il sangue che arriva loro ai fianchi. E tra questi Dante ne riconosce molti.
Il livello del sangue si abbassa progressivamente, fino a lambire soltanto i piedi. Qui è possibile guadare il fiume.
Nesso spiega:
“Avrai capito che, come da questa parte il livello del sangue si abbassa a poco a poco, dall’altra aumenta invece sempre di più, fin quando arriva al punto in cui sono puniti i peggiori tiranni.
La giustizia di Dio ha posto lì Attila, flagello delle genti, Pirro e Sesto Pompeo. E per l’eternità suscita le lacrime, causate dal bollore, di Rinieri da Corneto e Rinieri dei Pazzi, che sulle proprie terre portarono solo violenza.”
Poi si volta, e ripassa il guado.
COMMENTO
Un Canto molto denso di avvenimenti e personaggi, di teorie filosofiche e di storia contemporanea (a Dante, s’intende).
Come destreggiarsi tra tutti questi nomi e questi concetti apparentemente astrusi?
Piano piano, come sempre.
Cominciamo dal MINOTAURO.
È uno dei mostri più celebri della mitologia greca. La sua sede era l’isola di Creta.
Minosse, re di Creta, possedeva tra le sue mandrie uno splendido toro, che aveva promesso di immolare in sacrificio a Nettuno, il Dio dei Mari. Ma si rimangiò la promessa.
Nettuno, oltraggiato, fece in modo che la moglie del re, la regina Pasifae, si innamorasse del toro.
La regina confessò la sua insana passione a Dedalo, il celebre architetto, che si trovava alla corte di Minosse. Dedalo costruì una mucca di legno (la falsa vacca), all’interno della quale Pasifae si infilò, potendo così unirsi carnalmente al toro.
Da quell’unione nacque il Minotauro. Il quale, oltre a essere un mostro, aveva anche il piccolo difetto di nutrirsi di carne umana.
Minosse diede ordine a Dedalo di costruire il Labirinto, che divenne la sede del Minotauro. Poi impose alla città di Atene, che aveva sconfitto in guerra, di mandargli periodicamente sette ragazzi e sette ragazze, che sarebbero serviti come pasto per il mostro.
Dopo qualche tempo giunse Teseo, figlio del re di Atene, desideroso di liberare la sua città dal pesante tributo. Arianna, figlia di Minosse e Pasifae (e dunque sorella del Minotauro stesso per parte di madre), gli donò il famoso Filo per inoltrarsi nel Labirinto. Il principe poté così uccidere il Minotauro e tornare ad Atene da trionfatore.
(Teseo uccide il Minotauro – anfora attica della bottega del Pittore di Antimenes, circa 520 avanti Cristo – Middlebury College Museum of Art)
Veniamo ora ai CENTAURI.
Come noto, si tratta di esseri con testa, braccia e torace di uomo e corpo e zampe di cavallo. Sono protagonisti di molte celebri storie della mitologia greca. Dante nomina qui tre di loro.
Chirone, il più saggio di tutti, maestro di grandi eroi come Achille e Giasone.
Nesso, che cercò di rapire Deianira, sposa di Eracle, e fu ucciso dall’eroe. Mentre moriva volle però vendicarsi. Disse a Deianira di immergere la veste di Eracle nel suo sangue, così da ottenere un filtro d’amore che lo avrebbe legato per sempre a lei. Ma in realtà il sangue di Nesso era velenoso. Quando Eracle indossò la veste fu preda di indicibili dolori, e poco dopo morì.
Folo, uno di quelli che durante un banchetto nuziale, eccitato dal vino, uccise molti invitati.
(Guido Reni, Nesso rapisce Deianira, 1621 – Parigi, Louvre)
Secondo alcuni studiosi, la credenza nei Centauri ha un’origine storica.
La Grecia, com’è noto, è una terra quasi interamente montagnosa. Le uniche pianure si trovano nel nord-est, nella regione chiamata Tessaglia. Gli abitanti erano famosi per l’allevamento dei cavalli, essendo questa l’unica zona dove era possibile. Sembra che passassero molto tempo in sella, come i butteri della Calabria, i cowboy americani o i gauchos dell’Argentina. Da qui sarebbe nata la leggenda.
Raccontati i miti, dobbiamo però chiederci: perché Dante mette in scena proprio questi mostri, e perché li colloca proprio qui, nel Cerchio dei Violenti?
Per rispondere dobbiamo ricordare in quale parte dell’Inferno ci troviamo. I peccatori che vengono puniti qui scelsero apertamente la violenza, che esercitarono per tutta la vita. Non si tratta più, come nei Cerchi superiori, di un temporaneo offuscamento della razionalità umana (che porta, come abbiamo visto, alla Lussuria, alla Gola o all’Avarizia, peccati tutto sommato veniali). Qui si trovano personaggi che in vita si comportarono come bestie, lasciando volutamente da parte ciò che ci rende umani, la ragione. Sono anch’essi dei mostri, umani solo per metà.
Continuando con la filosofia, cerchiamo di capire meglio le parole di Virgilio sull’origine della frana.
Abbiamo già visto ( https://stefanotartaglino.it/dante-senza-paura-inferno-canto-4 ) come Cristo sia sceso all’Inferno per liberare le anime meritevoli di salvezza. In quell’occasione il regno delle tenebre tremò tutto, scosso dalla potenza di Gesù.
Virgilio richiama alla mente un’antica e complessa credenza filosofica, risalente ad EMPEDOCLE.
Secondo il filosofo siracusano nell’universo coesistono due princìpi opposti: l’Amore e l’Odio. L’Odio tiene gli elementi separati: mantiene l’ordine, ma produce anche divisione, guerra, discordia. Quando subentra l’Amore, gli elementi si mescolano di nuovo, come all’inizio dei tempi, quando esisteva solo il caos primordiale.
(Busto di Empedocle, proveniente dalla Villa dei Papiri di Ercolano – Napoli, Museo Archeologico Nazionale)
Proviamo adesso a mettere insieme questi due concetti. Prima Dante ricorda la discesa di Cristo all’Inferno. Poi cita una filosofia incentrata sulla contrapposizione tra Amore e Odio.
Cosa viene fuori?
Quello che è già stato detto più volte, e altre volte verrà detto: l’unica salvezza sta in Cristo. È Cristo che, come l’Amore di Empedocle, compone le discordie e le divisioni, e ripristina la primordiale unità dell’Universo.
Nel fiume di sangue Dante incontra numerosi personaggi. Cerchiamo ora di capire chi sono.
I peggiori tra questi peccatori, immersi nel sangue fino agli occhi, sono dei tiranni.
Il primo è Alessandro di Fere, tiranno della Tessaglia (sì, proprio la regione nella quale si originò il mito dei Centauri). È un personaggio storico dell’antica Grecia, ma di secondo piano.
Il secondo è DIONISIO, tiranno di Siracusa. Lui invece sì che è un personaggio importante, uno dei principali protagonisti della storia greca: visse e regnò tra il Quinto e il Quarto Secolo avanti Cristo.
Vengono poi due personaggi dell’Italia medioevale.
Il primo è EZZELINO DA ROMANO, vissuto nella prima metà del Duecento. Di fede ghibellina, governò su parte del Veneto, e divenne famoso per la sua crudeltà.
Il secondo è OBIZZO D’ESTE, signore di Ferrara. Contemporaneo di Dante, secondo una diceria (già messa in dubbio all’epoca) fu ucciso dal figlio Azzo, che gli succedette al potere. Gli Este appoggiavano i Guelfi Neri, e Dante – che come si ricorderà era di parte Bianca – non poteva sopportarli. Tra l’altro Azzo era ancora vivo quando Dante scriveva questo Canto. Il poeta non teme dunque di puntare il dito contro di lui. Considera vera la diceria sull’uccisione del padre, e lo accusa anche di non essere figlio naturale di Obizzo, ma un bastardo. (per vero fu spento dal figliastro su nel mondo). Oggi quest’accusa ci può sembrare di poco conto, ma all’epoca era una faccenda molto seria.
Proseguendo si arriva ai dannati che sono immersi nel sangue solo fino alla gola.
Qui c’è un solo personaggio, che se ne sta in disparte.
Si tratta di GUIDO DA MONTFORT. Nonostante il nome italianizzato, era inglese. Venuto in Italia, si mise al servizio di Carlo d’Angiò, re di Napoli, di cui fu rappresentante in Toscana. Suo padre fu fatto uccidere dal re d’Inghilterra. Guido, per vendicarlo, uccise il cugino del re, mentre stava pregando in chiesa. Il cuore di costui fu portato nell’Abbazia di Westminster. Guido non scontò mai l’assassinio: grazie alla protezione di Carlo d’Angiò rimase impunito.
Vengono poi altri dannati, immersi nel sangue fino al petto. Dante non nomina nessuno di loro, ma dice di riconoscerne molti.
Dato che, come spiega Nesso, da una parte il livello del sangue si abbassa e dall’altra si alza, in conclusione del Canto troviamo altri tiranni.
ATTILA, “il flagello di Dio”, che non ha bisogno di presentazioni.
PIRRO, personaggio mitologico figlio di Achille. Fu tra coloro che distrussero Troia e si distinse per crudeltà, uccidendo tra l’altro l’ormai anziano re Priamo.
SESTO POMPEO, figlio di Pompeo Magno, il grande avversario di Giulio Cesare. Dopo la morte del padre continuò a lottare contro il dittatore, e per qualche tempo lo mise in difficoltà. Aveva infatti assunto il controllo della Sicilia, il granaio di Roma, e con le sue azioni piratesche minacciava i rifornimenti alimentari della capitale. Ma alla fine fu sconfitto anche lui.
Gli ultimi due sono personaggi minori contemporanei di Dante. Non si tratta però di semplici banditi di strada, come lui sembra volerci far credere. Erano, invece, esponenti di famiglie ghibelline di rilievo, che difendevano le loro terre dalle mire di Firenze. Dante, nonostante tutto, appoggia la politica di Firenze, e considera coloro che le si oppongono gentaglia senza onore né dignità: dei comuni banditi, appunto.
FONTI:
Commedia vol. 1. Inferno, a cura di Natalino Sapegno, La Nuova Italia Editrice 1968
Inferno, Mondadori 2018, commento di Franco Nembrini, illustrazioni di Gabriele Dell’Otto
La Divina Commedia, a cura di Siro A. Chimenz, UTET 2003
Enrico Malato (a cura di), Dizionario della Divina Commedia, Salerno Editrice 2018 (edizione speciale per il Corriere della Sera, 2 volumi, 2021)
Marco Santagata, Guida all’ Inferno, Mondadori 2013