TRAMA
Dante si perde nella Selva Oscura. Una foresta buia, ombrosa, selvaggia. Gli alberi si chiudono intorno a lui, impedendogli il cammino.
Mentre arranca nel sottobosco scorge una collina ergersi solitaria tra la vegetazione. Inizia a salirla, nella speranza, una volta giunto in cima, di capire dove si trova.
Ma deve affrontare un nuovo ostacolo. D’improvviso sbucano tre belve, che si pongono davanti a lui, bloccandolo.
La prima è una lonza, un animale sinuoso e affascinante, ma mortalmente pericoloso.
Il secondo è un leone, che scuote la criniera e lancia il suo terribile ruggito.
La terza è una lupa, magra e macilenta ma con denti ancora affilati.
Per qualche ragione, Dante teme la lupa più delle altre due belve.
(Dante, Virgilio e le tre belve – illustrazione di Gabriele Dell’Otto)
Tremante di paura, indietreggia, rischiando di tornare nel buio del bosco, dove probabilmente si perderà per sempre.
Poi qualcuno appare tra gli alberi. È un uomo o uno spirito? Non importa, purché possa salvarlo. “Aiuto, per pietà!” grida Dante.
L’ombra si presenta, pur non dicendo il proprio nome. Parla invece della sua famiglia, della sua terra, dell’epoca in cui è vissuto e delle opere che ha scritto.
Grazie a queste indicazioni, Dante lo riconosce.
È Virgilio, il grande poeta latino. Un maestro, per Dante, anzi, IL maestro. È proprio leggendo le sue opere infatti che Dante ha imparato a comporre versi con quello stile che lo ha reso famoso già in vita.
Virgilio spiega a Dante come affrontare le belve, in particolare la lupa, che tra le tre è quella più malvagia e pericolosa.
Subito dopo gli rivela che è venuto per guidarlo attraverso l’Inferno e il Purgatorio. Nel Paradiso invece lo affiderà ad un’anima più degna di lui: egli infatti, non avendo conosciuto il vero Dio, non può salire al Cielo.
Dante, rinfrancato, si affida completamente alla sua guida, e si prepara per iniziare il suo viaggio.
COMMENTO
Che cos’è la Selva Oscura? Cosa rappresentano le tre belve? E perché Dante ha più paura di una lupa male in arnese che di un leone forte e vigoroso?
La Selva Oscura altro non è che il peccato, la colpa nella quale si dibatte ogni uomo. Anche quando tutto sembra andare bene si è sempre a rischio di cadere nell’errore.
Nel 1300 Dante ha 35 anni. È dunque giusto esattamente a metà della vita, almeno secondo quel che dice la Bibbia, per la quale 70 anni – o al massimo 80 per i più robusti – sono la giusta durata dell’esistenza terrena (Salmi, 90, 10). E come abbiamo visto è proprio in quell’anno che giunge al culmine della sua carriera politica, venendo eletto nel consesso dei Priori a Firenze (https://stefanotartaglino.it/dante-senza-paura-episodio-5-esiliato
La collina che si innalza nel mezzo della Selva rappresenta la via della virtù, la sola che può condurre fuori dai pericoli del peccato.
E veniamo alle tre belve. Del leone e della lupa ci occuperemo tra breve. Ma la lonza che animale è?
“Lonza” è una parola del francese medioevale (lonce), forse derivata dal latino lynx, “lince”. La lince è in effetti un felino dal pelo maculato, che si muove in modo agile e flessuoso. Altri vi vedono un leopardo o una pantera, anch’essi animali aggraziati, affascinanti e con il pelo a macchie.
Ok, allora. Ma cosa rappresenta?
Gli studiosi moderni, seguendo i commentatori antichi, propendono per la Lussuria. È uno dei peccati capitali, certo, ma tutto sommato non particolarmente grave.
Il leone invece rappresenta la Superbia. È il peccato più grave di tutti, ma qui Dante ne teme di più un altro. L’Avarizia, simboleggiata dalla lupa.
La lupa è magra perché l’Avarizia ha sempre fame. Non si sazia mai, ma corre di continuo di qua e di là, bramosa di accumulare ricchezza, ancora e ancora. Per soddisfare l’Avarizia l’uomo è disposto a compiere le azioni peggiori, le più malvagie e delittuose che si possano immaginare.
Per uccidere la lupa ci vuole un cane da caccia (veltro). L’Avarizia potrà essere vinta solo da un personaggio giusto e retto, guidato da Dio, che giungerà sulla terra tra non molto e nascerà tra i poveri e gli umili.
Se adesso vi state domandando chi sia questo personaggio la risposta è: non si sa.
Tra i commentatori e gli studiosi, alcuni lo identificano con Gesù Cristo, che scenderebbe una seconda volta sulla terra per redimere di nuovo i peccati del mondo; altri pensano a Cangrande della Scala, il signore di Verona che fu uno dei protettori di Dante esiliato; altri ancora pensano a un imperatore – forse Enrico VII di Lussemburgo, in cui Dante ripose tante speranze ( https://stefanotartaglino.it/dante-senza-paura-episodio-6-scrivere-in-esilio ) – o a un nuovo Papa, che risanerà la Chiesa ferita dalla brutalità di Bonifacio VIII.
Ma la questione sembra destinata a rimanere senza risposta.
Concludiamo con un accenno al dialogo tra Dante e Virgilio.
Il poeta latino pone a Dante una domanda retorica: “Perché stai ritornando nella selva, sede di ogni peccato, invece di salire sulla collina, e intraprendere così la strada della virtù?”
Virgilio lo sa benissimo che Dante è in difficoltà. Gli è stato detto da qualcuno – vedremo nel Canto 2 da chi – e del resto è chiaro che si trova nei pasticci.
Lo scopo di Virgilio non è calare dall’alto i suoi insegnamenti, e farli accettare da Dante così come sono. Vuole che Dante lo interroghi, confessi il suo desiderio di sapere, ponga delle domande. Dante ha bisogno di sapere, e Virgilio è lì per soddisfare questo bisogno.
FONTI:
Commedia vol. 1. Inferno, a cura di Natalino Sapegno, La Nuova Italia Editrice 1968
Inferno, Mondadori 2018, commento di Franco Nembrini, illustrazioni di Gabriele dell’Otto
La Divina Commedia, a cura di Siro A. Chimenz, UTET 2003