DANTE, SENZA PAURA (EPISODIO 6): SCRIVERE IN ESILIO

In cerca di libri

Dante continuò a scrivere anche in esilio. Anzi, nonostante le difficoltà, scrisse molto più di prima. Compose la Commedia, certo, ma anche altre opere.

 

Aveva però un problema pratico. Dove avrebbe potuto, infatti, reperire i libri che gli servivano per studiare?

Le biblioteche pubbliche non esistevano ancora (o meglio, non esistevano più, perché al tempo dell’Impero Romano c’erano). A Firenze aveva potuto beneficiare di quelle dei conventi. E quando era stato a Bologna aveva avuto accesso a quella dell’Università. Ma adesso, che fare?

 

Anche per questo, oltre che per la necessità di avere un tetto sulla testa e qualcosa nel piatto la sera, si rivolse alle potenti famiglie che governavano le città e i territori in cui di volta in volta soggiornò.

Le biblioteche private erano spesso messe insieme per ostentare il proprio potere più che per un effettivo amore per la cultura. Possedere una grande biblioteca era un segno di distinzione.

 

In quegli stessi anni, inoltre, stava avvenendo un cambiamento politico di notevole importanza: il lento ma inesorabile passaggio dai Comuni alle Signorie.

Le varie città del Nord e Centro Italia erano state fino a quel momento governate da ordinamenti repubblicani. Consigli, collegi, assemblee con un numero più o meno variabile di membri gestivano gli affari correnti, decidevano per la pace o per la guerra, si occupavano di politica interna ed estera.

 

Tutto questo però creava anche discordie, malumori, inimicizie, fino a sfociare in vere e proprie guerre civili. E questo in quasi ogni città, non solo a Firenze. Le varie fazioni spesso si definivano Guelfi o Ghibellini solo come paravento, per coprire con un mantello ideologico quelle che erano soltanto ambizioni personali e di parte.

Con il tempo alcune famiglie divennero talmente influenti da accentrare nelle proprie mani ogni potere. Assunsero direttamente il governo delle città, che dominarono in modo assoluto.

 

Nel corso della sua vita Dante assistette all’inizio di questo processo. Conobbe sia gli ultimi rappresentanti dell’antica nobiltà – i Malaspina, padroni della Lunigiana – che i nuovi signori – gli Scaligeri a Verona e i Da Polenta a Ravenna.

 

 

(Il castello dei Malaspina a Fosdinovo – copyright Wikimedia Commons)

 

Fu grazie alle biblioteche di queste famiglie che poté continuare a studiare e a scrivere. E fu grazie a quei libri che, alla fine, creò la sua opera più grande.

 

Ma mentre la scriveva ne compose anche altre. Eccole.

 

 

Il CONVIVIO

È l’opera dei primi anni dell’esilio (1304-1307). Il titolo allude al pranzo (ideale, s’intende) che Dante intende preparare, a cui invitare tutti coloro che, presi dagli affanni della vita, vorrebbero invece dedicarsi allo studio della Filosofia. Le pietanze e le portate principali sono costituite da componimenti poetici, anch’essi, come nella Vita Nova, intervallati da parti in prosa.

La Filosofia non era, come oggi, una materia a sé. Era considerata solo il mezzo per comprendere il vero significato dell’esistenza: la ricerca della sapienza, fine ultimo dell’essere umano.

 

Dante scrive quest’opera rivolgendosi sia agli uomini che alle donne. Gli uomini sono naturalmente quelli di governo, responsabili del benessere dei popoli sui quali comandano. Secondo Dante solo raggiungendo la sapienza potranno ben adempiere al proprio ruolo.

Le donne invece, grazie alla sapienza, comprendono di avere un’altra missione: ispirare negli uomini le più alte passioni, guidandoli sulla via della virtù.

 

Proprio perché destinato a un vasto pubblico, il Convivio è scritto in volgare invece che in latino. Infatti, ed è Dante stesso a dirlo, gli uomini di cultura, che usano il latino, sono ormai una casta chiusa in sé stessa, che rifiuta di condividere il proprio sapere. Gli altri uomini, che vogliono e debbono avere accesso alla sapienza, sono bloccati dalla barriera linguistica.

Dante vede la lingua volgare, l’italiano, come un “nuovo sole”, che affiancherà e col tempo sostituirà il latino.

 

La necessità di riflettere sulle potenzialità della nuova lingua diventerà sempre più urgente. Il Convivio viene interrotto. Negli stessi anni infatti Dante aveva iniziato a scrivere un’altra opera, alla quale si dedicherà con sempre maggiore impegno.

 

 

Il DE VULGARI ELOQUENTIA

Dante vuole scrivere un trattato che dimostri la forza del volgare. Ma deve scriverlo in latino.

Infatti tutte le opere più importanti – di letteratura, di filosofia, di teologia, di giurisprudenza – erano scritte in latino. Da un lato era necessario affinché fossero comprese anche da lettori appartenenti ad aree culturali e linguistiche diverse. Dall’altro dava alla singola opera una patente di serietà, di autorevolezza.

 

Questa idea rimarrà anche dopo Dante. Lo stesso Petrarca affiderà le sue speranze di diventare famoso non al Canzoniere, scritto in volgare, ma ad un poema in latino sulla Seconda Guerra Punica, l’Africa: opera che oggi è nota solo agli studiosi e a malapena citata nelle antologie scolastiche.

 

Nonostante il tema dell’opera, Dante non si rivolge a chi il volgare lo parla, cioè al popolo – che del resto era per la quasi totalità completamente analfabeta – ma ai dotti. Lo scopo è convincerli della bellezza del volgare – che viene chiamato volgare illustre, cioè raffinato nella forma e nel lessico – e farsi aiutare da loro a diffonderne l’uso.

 

Anche quest’opera viene però interrotta, a causa della contemporanea stesura del Convivio e soprattutto della Commedia.

 

 

L’ultimo imperatore: la MONARCHIA

Dante aveva sempre teorizzato la necessità per l’Italia di ritornare sotto il diretto controllo del Sacro Romano Impero. Solo il potere imperiale, pensava, avrebbe potuto porre fine alle discordie interne alle città e alle guerre tra l’una e l’altra.

 

Per qualche anno sembrò che il suo sogno potesse realizzarsi. Enrico di Lussemburgo venne eletto imperatore del Sacro Romano Impero, e salì al trono come Enrico VII (il nome “Arrigo” con cui a volte viene citato, sia da Dante sia nelle opere moderne, è una semplice variante di “Enrico”: “Arrigo” deriva dal latino, “Enrico” dal tedesco).

 

 

(Monumento funebre di Arrigo VII, 1313 – Pisa, Duomo)

 

Enrico VII sarebbe stato l’ultimo imperatore tedesco a tentare di riprendere l’Italia. La sua parabola si compì in soli tre anni, dal 1310 al 1313. Morì prematuramente, di malattia, e con lui il suo sogno.

Partì con quella che sembrava una spedizione imponente, ma in realtà aveva pochi soldati e ancor meno soldi. Ce ne sarebbero voluti molti di più, degli uni e degli altri, per realizzare il suo progetto. Un disegno che, comunque, era ormai fuori tempo massimo.

 

Questa, almeno, è l’opinione tradizionale degli storici. Alessandro Barbero invece, nel suo recente saggio su Dante, sostiene che l’imperatore fosse un abile politico, capace di destreggiarsi abilmente nel complesso gioco che vedeva allo stesso tavolo lui, il re di Francia Filippo il Bello, il Papa e il re di Napoli.

Morto ormai Bonifacio VIII, il nuovo Papa era infatti sempre più esposto all’influenza della Francia. Per questo inizialmente appoggiò l’imperatore, staccandosi dalla tradizionale alleanza con il re di Napoli, di solida fede guelfa e suo braccio armato.

 

Dante ricominciò a sperare. Aveva di fronte l’occasione della sua vita, e non poteva lasciarsela scappare.

Ormai non pensava più a rientrare a Firenze. Anzi, nei canti della Commedia aveva inserito numerose e pesanti invettive contro la sua città natale. Puntava più in alto.

 

Anche la Monarchia è scritta in latino, e non poteva essere diversamente, per le ragioni che abbiamo visto a proposito del De vulgari eloquentia.

 

Dante prende qui una posizione netta. L’unico sovrano deve essere l’imperatore. Il potere temporale del Papa va eliminato.

Non si tratta quindi di una riflessione astratta sulla monarchia come forma di governo, ma di un aperto sostegno al Sacro Romano Impero.

 

È stato detto che Dante avrebbe compiuto un passaggio ideologico totale: da Guelfo che era in gioventù (anche se Bianco, e quindi moderato) a Ghibellino.

Di sicuro l’aver puntato apertamente il dito contro il potere temporale del Papa gli porterà due conseguenze: l’apprezzamento degli imperiali e la condanna della Chiesa.

Quest’ultima si esprimerà, molti secoli dopo, nell’inserimento della Monarchia tra i “libri proibiti” del famoso Indice.

 

 

(Un’edizione del 1564 dell’Index Librorum Prohibitorum – copyright Wikimedia Commons)

 

 

Nel corso della sua vita Dante ha comunque vissuto un’importante trasformazione: da intellettuale cittadino, in prima linea per difendere l’indipendenza della città e degli ordinamenti repubblicani, a cortigiano stipendiato dai nuovi signori.

Questo prefigura il nuovo ruolo che gli uomini di lettere avranno nell’Italia dei secoli successivi. Si pensi ad esempio all’Ariosto, legato a doppio filo alla dinastia degli Estensi, signori di Ferrara, in omaggio ai quali scriverà l’Orlando Furioso.

 

 

FONTI:

AA.VV., Opere Minori di Dante Alighieri. Il Convivio, Epistole, Monarchia, Quaestio de aqua e terra, UTET 1986

Mario Pazzaglia, Letteratura italiana vol. 1. Dal Medioevo all’ Umanesimo, Zanichelli 1997 (terza edizione, quinta ristampa)

Alberto Casadei-Marco Santagata, Manuale di letteratura italiana medioevale e moderna, Laterza 2007

Marco Santagata, Dante. Il romanzo della sua vita, Mondadori 2012

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