Africa da (ri)scoprire : LA TRATTA DEGLI SCHIAVI (Parte 7 di 8)

Introduzione

La tratta degli schiavi non fu un fenomeno improvviso, né tantomeno inventato dagli Europei. In Africa la schiavitù esisteva da sempre, come nel resto del mondo. Al pari di oro, avorio e sale, gli esseri umani erano una merce. Schiavi africani erano stati venduti nell’antico Egitto, nell’Impero Romano e nei Califfati e Sultanati arabi e turchi.

 

La svolta si ha a metà del Cinquecento. Gli Stati arabi del nord e della costa orientale passano dal ruolo di mediatori tra Africa e resto del mondo ad aggressori. E anche l’Europa rinuncia alla loro mediazione per entrare in contatto diretto con l’Africa.

 

Tutto inizia con l’espansione del Sultanato del Marocco. Nella seconda metà del Cinquecento attacca più volte l’Impero Songhai (di cui abbiamo parlato qui: https://stefanotartaglino.it/africa-da-riscoprire-i-regni-africani-del-medioevo-parte-5-di-8), fino ad abbatterlo.

Il crollo del Songhai è seguito da una serie di carestie e pestilenze che colpiscono l’Africa Occidentale per tutto il Seicento e la prima metà del Settecento. Si ha una regressione generale della società e della cultura, tanto grave da tornare quasi ai livelli dell’Età della Pietra. Le persone non potevano più permettersi nemmeno i vestiti: si coprivano con pelli di animali, e si nutrivano di erbe e radici. A livello politico scompaiono le grandi aggregazioni di popoli garantite dagli imperi e riemergono le divisioni locali.

 

L’Europa, quando decise di inserirsi in Africa, non lo fece studiando la cosa a tavolino, né con il preciso scopo di procurarsi degli schiavi. Tutt’altro.

Gli avventurieri e gli esploratori che iniziarono a penetrare in Africa lo facevano per tre motivi principali:

  • Il motivo economico, ovvero la ricerca delle spezie
  • Il motivo politico, ovvero aggirare prima e combattere poi l’Islam
  • Il motivo religioso, ovvero la ricerca di nuovi popoli da convertire al Cristianesimo

 

Già dal Quattrocento inoltre l’Europa, fiaccata da innumerevoli guerre, aveva bisogno di trovare grandi quantità d’oro per pagare le spezie che acquistava in Asia.

Era necessario dunque aggirare il blocco costituito dagli Stati musulmani. Lo scopo era arrivare ad un calo dei prezzi. Infatti dall’Asia all’Europa vi era una lunga catena di intermediari, ciascuno dei quali pretendeva la sua fetta di guadagno.

In questo modo le finalità economiche andavano a coincidere in modo perfetto con quelle religiose e politiche.

 

Certo, molti erano spaventati dalla prospettiva di intraprendere viaggi per mare verso l’ignoto. Ma furono spinti dall’entusiasmo di personaggi come ENRICO IL NAVIGATORE, principe erede al trono del Portogallo. Questi diede grande impulso alle esplorazioni geografiche.

Inoltre proprio in quegli anni era stata inventata la CARAVELLA. Si trattava di una nave di tipo completamente nuovo, perfettamente adattata per navigare nell’oceano.

L’esplorazione europea dell’Africa poteva cominciare.

 

Le origini della tratta

Rispetto alla schiavitù praticata nel mondo antico e medioevale, gli Europei introdussero un sistema del tutto diverso.

I primi neri furono catturati dai Portoghesi alla metà del Quattrocento. Portati a Lisbona, costituirono la prova dell’espansione in quelle terre lontane, oltre che una curiosità etnica. E ben presto nacque una moda. Possedere degli schiavi neri divenne uno status symbol. Un secolo dopo, a metà del Cinquecento, il 10% della popolazione di Lisbona era costituito da schiavi neri.

 

Fin qui però si trattò di una forma aggiornata della schiavitù tradizionale.

Le cose cominciarono a cambiare quando entrò in campo la Spagna, con le sue colonie del Nuovo Mondo (il famoso “impero su cui non tramontava mai il sole”).

I conquistadores spagnoli infatti avevano praticamente distrutto le antiche civiltà precolombiane dell’America, come Aztechi e Incas. Azioni militari e, soprattutto, malattie avevano provocato una grave diminuzione della popolazione indigena. Gli Spagnoli avevano impiantato nel Nuovo Mondo piantagioni e colture, specialmente di canna da zucchero, ma mancavano gli uomini per lavorarle.

E l’Africa era fatta apposta per colmare questo vuoto.

 

Nel 1494, appena due anni dopo la scoperta dell’America, era stato stipulato – per iniziativa del Papa – il Trattato di Tordesillas, che divideva in due gli oceani: la Spagna a occidente, nel Nuovo Mondo, e il Portogallo a Oriente, in Africa e in Asia.

Naturalmente questo trattato non venne tenuto in nessun conto dalle altre potenze europee. Dopo una prima fase di effettivo dominio del Portogallo gli succedettero, nell’ordine, Olandesi, Francesi e Inglesi. Questi ultimi già nel 1562 detenevano la leadership del commercio negriero.

 

Come procurarsi gli schiavi

Tutti gli Stati europei operarono nel medesimo modo. Cercavano sulle coste dei punti di approdo favorevoli, come porti naturali e insenature, e vi fondavano dei centri di smistamento, poche casupole difese da un fortino. Da qui contattavano e contrattavano con i negrieri – bianchi, ma anche africani e arabi – che si spingevano nell’interno. I Francesi non erano granché organizzati, e possedevano solo pochi scali, mentre Olandesi e Inglesi erano molto più preparati.

Questi centri erano diffusi su tutte le coste dell’Africa Occidentale e Meridionale.

 

Incisione di S.R. Swain raffigurante schiavi che vengono caricati su una nave negriera (Photo by Rischgitz/Getty Images)

 

Sulla costa orientale invece dettavano legge i mercanti arabi. La cosiddetta “tratta orientale”, gestita appunto dagli Arabi, durò molto più a lungo, fino a tutto l’Ottocento. Ma fu molto meno dura di quella europea. E gli schiavi che venivano portati nelle terre musulmane vivevano molto meglio di quelli che finivano a lavorare nelle piantagioni in America. Gli uomini erano di solito impiegati come servi di casa o guardie di palazzo, mentre le donne entravano a far parte degli harem. Inoltre se si convertivano all’Islam potevano ottenere la libertà: era infatti vietato ai musulmani fare schiavi altri musulmani.

 

Le navi negriere che partivano dall’Africa dirette in America erano costruite in modo da massimizzare lo spazio e caricare il numero più alto possibile di schiavi. La traversata dell’Atlantico durava circa due mesi. È molto facile immaginare quanto fossero spaventose le condizioni di vita.

Poco prima dell’arrivo inoltre gli schiavi malati venivano gettati in mare. E anche una volta giunti alla loro destinazione finale – che poteva essere il Brasile, Cuba o il Nord America – se si ammalavano non potevano sperare di essere curati. Nessun padrone si sarebbe preso la briga di farlo. Era molto più economico comprare uno schiavo nuovo.

 

Schema della nave negriera inglese Brookes, che mostra come erano sistemati a bordo 454 schiavi (© Wikimedia Commons)

 

Come abbiamo accennato sopra, non mancarono mercanti di schiavi anche tra gli stessi Africani. Le merci europee erano molto richieste, soprattutto, va da sé, le armi da fuoco. Accanto a queste furono importantissimi i cavalli, che non esistono allo stato selvaggio in Africa e, al pari di pistole e fucili, costituirono un vantaggio essenziale nelle lotte tra i vari popoli.

 

All’inizio le transazioni avvenivano con il semplice sistema del baratto. Ma ben presto il traffico assunse dimensioni tali da non poter essere gestito con così poco. L’oro e gli altri metalli, grezzi o sotto forma di monete, potevano essere falsificati. Ci voleva qualcosa da scambiare che avesse lo stesso valore per tutti.

Alla fine lo si trovò.

Una conchiglia.

Si tratta del CAURI. È comunissima nell’Oceano Indiano e in tutto il Pacifico, e in Africa ne arrivarono miliardi di pezzi. È molto bella da vedere, e ha un indubbio valore estetico. Dal Cinquecento, quando cominciò a diffondersi in Africa, molte popolazioni – stanziate anche in regioni lontanissime dal mare, a riprova dell’ampiezza dei commerci – iniziarono ad usarla per adornare i vestiti e i costumi tradizionali. Presso molte comunità, la ricchezza di una persona iniziò ad essere misurata in cauri, oltre che in bestiame.

Proprio perché è così comune, il cauri è impossibile da falsificare: non ne vale la pena. Inoltre è facile da trasportare, e la sua lucentezza dura molto a lungo. A parte la bellezza non ha altro valore economico se non quello di essere, per l’appunto, un mezzo di scambio. Con i pagamenti in cauri tutti coloro che erano coinvolti nella tratta degli schiavi erano soddisfatti.

 

Le conchiglie cauri

 

La tratta degli schiavi fu un gravissimo trauma per tutta l’Africa. Nei quattro secoli in cui durò non vi fu popolo, Stato, comunità o semplice villaggio che potesse dirsi al sicuro dai negrieri. Questi arrivarono anche nei più piccoli e lontani insediamenti, catturando uomini, donne e bambini da trasportare sulla costa e vendere agli Europei. La paura dell’arrivo dei negrieri divenne una componente quotidiana della vita di tutte le società africane.

 

Gli Europei invece non si spingevano nell’interno, e conoscevano ancora molto poco dell’Africa. A parte le coste e i punti di riferimento per le navi, come il Capo di Buona Speranza, approdo fondamentale sulla rotta per l’India e l’Estremo Oriente, non erano interessati a fondare colonie e a conquistare territori.

Non ancora.

 

Quanti furono gli schiavi ?

La tratta dei neri andò avanti per 400 anni. Ma quante furono in totale le persone sradicate dall’Africa e portate al di là del mare?

 

Fornire cifre esatte è molto difficile. Alcuni storici hanno parlato di quasi 50 milioni di persone. Altri, più recentemente, hanno abbassato il numero intorno agli 11 milioni.

 

Le cifre vanno comunque confrontate con il totale della popolazione africana dell’epoca, molto più basso di quello di oggi.

Infatti, contrariamente a quanto si pensa, gli Africani erano pochi. All’inizio del Cinquecento, quando cominciò la tratta, la popolazione dell’intera Africa era di 47 milioni di persone. Per confronto, quella dell’Europa (ormai pienamente ripresasi dalla grande Peste Nera del Trecento) era di oltre 300 milioni di persone.

 

Lo sviluppo demografico in Africa è sempre stato condizionato da due fattori: il clima e le malattie.

 

Il clima, com’è ovvio, influisce sull’agricoltura. A parte le zone sempre troppo aride, come il Sahara, dove non è possibile seminare alcunché, i raccolti dipendevano dalle piogge e dalla presenza di fiumi. Inoltre alcune colture non crescono bene in climi troppo umidi, come quelli delle regioni a cavallo dell’Equatore e dei Tropici.

Anche dove l’agricoltura prosperava c’era poi un altro problema.

Gli elefanti.

Diffusi in tutto il continente, gli elefanti entravano in competizione con gli agricoltori. Devastare un campo coltivato era ovviamente molto più facile che cercare cibo nelle selve. Il numero di elefanti era ancora molto alto. E questo sebbene fossero stati cacciati fin dai tempi dell’antico Egitto per l’avorio, il cui commercio era praticato ovunque. Quando i branchi si insediavano in un determinato territorio, gli uomini erano spesso costretti ad abbandonarlo.

Poi vennero i fucili. Nei secoli la domanda di avorio crebbe ulteriormente. E si arrivò alla situazione di oggi, con gli elefanti sull’orlo dell’estinzione.

 

Le malattie sono forse il fattore che più ha influito sullo sviluppo dell’Africa. Non sono cosa di oggi, come ci sembra quando leggiamo delle epidemie di Ebola. Sono sempre state presenti.

Le prime popolazioni di esseri umani che, in tempi preistorici, lasciarono l’Africa per diffondersi nel resto del mondo se le lasciarono alle spalle, e per questo il loro numero crebbe a dismisura. Certo, ne incontrarono altre, ma non furono tali da bloccare la crescita demografica.

In Africa, oltre a epidemie di vario tipo, c’è un piccolo esserino che da millenni, e ancora oggi, fa migliaia di vittime.

La MOSCA TSE TSE.

Vive nelle zone tropicali ed equatoriali, nel folto delle grandi foreste. Com’è noto, è responsabile della cosiddetta “malattia del sonno” (o Tripanosomiasi, il nome scientifico), che colpisce non solo gli uomini, ma anche il bestiame. Il nome comune non deve trarre in inganno. La malattia porta a gravi problemi neurologici, fino a provocare un vero e proprio coma, che infine conduce alla morte.

La presenza della mosca tse tse ha impedito agli uomini di insediarsi in determinate regioni, e di praticarvi l’agricoltura e l’allevamento del bestiame.

 

A causa delle condizioni climatiche e delle malattie, l’Africa era dunque scarsamente popolata, per lo meno rispetto all’Europa o all’Asia. La tratta degli schiavi provocò un’ulteriore diminuzione degli abitanti, e un aumento dei conflitti.

Ma soprattutto privò per secoli il continente dell’apporto di uomini e donne giovani e robusti, che avrebbero potuto contribuire allo sviluppo economico, sociale e culturale di tutte le regioni.

 

La fine della tratta

Nell’Ottocento la grande tratta terminò, per lo meno da parte degli Europei. L’opinione pubblica, in Europa come in America, era ormai palesemente contraria. Si formarono gruppi e società abolizioniste, e molti si offrirono persino di riportare gli ex-schiavi in Africa.

Un tentativo in questo senso portò alla fondazione della città di Monrovia, dal nome del presidente americano Monroe, e poi della Liberia, Stato che doveva accogliere gli schiavi liberati dalle Americhe.

Gli abolizionisti erano convinti, forse per ingenuità o più probabilmente per senso di superiorità, che gli ex-schiavi sarebbero stati accolti a braccia aperte e avrebbero ripreso senza problemi il loro posto nella società africana.

Le cose non andarono proprio così, ma perlomeno la tratta era finita. Sulla costa orientale invece continuò, ad opera degli Arabi, i quali la praticavano da ben prima degli Europei. Tuttavia, con il tempo, anch’essi dovettero sottostare alle imposizioni dei sempre più potenti Stati europei.

 

L’Africa avrebbe potuto tranquillamente riprendersi dal trauma causato dalla tratta. Avrebbe potuto ricominciare il suo cammino nella Storia, come aveva fatto per secoli.

Ma a bloccarne, ancora una volta, lo sviluppo, intervenne un altro fattore.

 

La colonizzazione europea.

 

FONTI:

Patrizia Delpiano, La schiavitù in età moderna, Laterza 2009

Joseph Ki-Zerbo, Storia dell’Africa nera, Einaudi 1977

Paul E. Lovejoy, Storia della schiavitù in Africa, Bompiani 2019

Roland Oliver – John D. Fage, Breve storia dell’Africa, Einaudi 1965

John Reader, Africa. Biografia di un continente, Mondadori 2017

 

 

SUGGERIMENTI PER APPROFONDIRE

Olivier Pétré-Grenouilleau, La tratta degli schiavi. Saggio di storia globale, Il Mulino 2010

Markus Rediker, La nave negriera, Il Mulino 2014

Gabriele Turi, Schiavi in un mondo libero. Storia dell’emancipazione dall’età moderna ad oggi, Laterza 2012

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